Celti

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    Celti

    Con il nome di Celti si indica un insieme di popoli indoeuropei che, nel periodo di massimo splendore (IV-III secolo a.C.), erano estesi in un'ampia area dell'Europa, dalle Isole britanniche fino al bacino del Danubio, oltre ad alcuni insediamenti isolati più a sud, frutto dell'espansione verso le penisole iberica, italica e anatolica.
    Uniti dalle origini etniche e culturali, dalla condivisione di uno stesso fondo linguistico indoeuropeo e da una medesima visione religiosa, i Celti rimasero sempre politicamente frazionati; tra i vari gruppi di popolazioni celtiche si distinguono i Britanni, i Galli, i Pannoni, i Celtiberi e i Galati, stanziati rispettivamente nelle Isole Britanniche, nelle Gallie, in Pannonia, in Iberia e in Anatolia.
    Portatori di un'originale e articolata cultura, i Celti furono soggetti a partire dal II secolo a.C. a una crescente pressione politica, militare e culturale da parte di altri due gruppi indoeuropei: i Germani, da nord, e i Romani, da sud.
    I Celti furono progressivamente sottomessi e assimilati, tanto che già nella tarda antichità l'uso delle loro lingue appare in netta decadenza. L'arretramento dei Celti come popolo autonomo è testimoniato proprio dalla marginalizzazione della loro lingua, presto confinata alle sole Isole britanniche.
    Lì infatti, dopo i grandi rimescolamenti altomedievali, emersero gli eredi storici dei Celti: le popolazioni dell'Irlanda e delle frange occidentali e settentrionali della Gran Bretagna, parlanti lingue brittoniche o goideliche, le due varietà di lingue celtiche insulari.

    Etnonimo

    I Celti sono menzionati dagli storici di lingua greca come Κελτοί (Keltòi) da Ecateo di Mileto e da Erodoto o Κέλται (Kéltai) da Aristotele e Plutarco, da cui deriva il latino Celtae. Probabilmente il termine Celti era un etnonimo proprio di una singola tribù dell'area della colonia greca di Marsiglia, il primo luogo dove i Greci vennero in contatto con il popolo dei Celti; in seguito, tale termine fu applicato per estensione a tutte le genti affini.
    Sempre presso i Greci, a partire dal III secolo a.C. è attestato il nuovo etnonimo Γαλάται, corrispondente al latino Galli. Di questa denominazione è stata ipotizzata una derivazione dalla radice celtica *gal- ("potere", "forza") o dalla radice indoeuropea *kelH ("essere elevato").
    In entrambi i casi, trattandosi di un attributo positivo, potrebbe essere stato un endoetnonimo, anche se probabilmente riferito ancora più al singolo gruppo spintosi nei Balcani e in Anatolia che all'intero popolo dei Celti.
    Non si conosce l'endoetnonimo con il quale i Celti indicavano se stessi in quanto popolo condividente la stessa origine, cultura e fondo linguistico, e nemmeno se sia mai esistito un simile etnonimo generale, al di là di quelli indicanti i vari gruppi e tribù.

    Le origini

    Archeologi e linguisti concordano, a larga maggioranza, nell'identificare i Celti con il popolo portatore della Cultura di La Tène, sviluppatasi durante l'Età del ferro dalla precedente Cultura di Hallstatt. Tale identificazione consente di individuare la patria originaria dei Celti in un'area compresa tra l'alto Reno (da Renos, vocabolo di origine celtica il cui significato è "mare") e le sorgenti del Danubio (dal celtico Danuvius, il cui significato è "che scorre veloce"), tra le attuali Germania meridionale, Francia orientale e Svizzera settentrionale: qui i Protocelti si consolidarono come popolo, con una propria lingua, evoluzione lineare di un vasto continuum indoeuropeo esteso in Europa centrale fin dall'inizio del III millennio a.C.
    È stata tuttavia avanzata anche l'ipotesi, sempre fondata su argomentazioni linguistiche, che i Protocelti fossero il frutto di una penetrazione secondaria di Indoeuropei in Europa centrale, a metà del III millennio a.C., a partire dalle steppe a nord del Mar Nero, probabile patria originaria del popolo comune.[10].
    Nell'area di La Tène si registra una continuità nell'evoluzione culturale sin dai tempi della Cultura dei campi di urne (a partire dal XIII secolo a.C.).
    All'inizio dell'VIII secolo a.C. si affermò la Cultura di Hallstatt, la civiltà protoceltica che mostrava già le prime caratteristiche culturali che poi saranno proprie della cultura celtica classica.
    Il nome deriva da un importante sito archeologico austriaco distante una cinquantina di chilometri da Salisburgo. La Cultura di Hallstatt, con base agricola ma dominata da una classe di guerrieri, era inserita in una rete commerciale piuttosto ampia che coinvolgeva Greci, Sciti ed Etruschi.
    È da questa civiltà dell'Europa centro-occidentale che, intorno al V secolo a.C., si sviluppò, senza soluzione di continuità, la cultura celtica propriamente detta: nella terminologia archeologica, la Cultura di La Tène.

    L'ipotesi genetica: i Celti e l'aplogruppo R1b

    Recenti ipotesi genetiche sul popolamento dell'Europa, in via di elaborazione, propongono una teoria alternativa sull'origine dei Celti.
    Osservando la frequente ricorrenza, in alcune aree dell'Europa occidentale, di un determinato aplogruppo del cromosoma Y e constatandone invece la rarità nell'area di sviluppo della Cultura di La Tène, è stata postulata l'ipotesi di un'evoluzione ininterrotta, fin dal Mesolitico, di quei popoli che, già stanziati nelle loro sedi storiche, sarebbero storicamente emersi come Celti.
    In questo caso, la connessione linguistica con l'indoeuropeo e quella archeologica con La Tène sarebbero esclusivamente frutto di una contaminazione culturale.
    Questa prospettiva è compatibile con la Teoria della continuità proposta, tra gli altri, da Colin Renfrew, ma viene tuttavia generalmente rigettata dai linguisti. L'obiezione è imperniata sulla constatazione delle strette prossimità dialettali tra le varie lingue celtiche: se queste si fossero effettivamente sviluppate in un'area tanto vasta, per millenni, senza scrittura e in assenza di qualsiasi unità politica, avrebbero dovuto differenziarsi tra loro molto di più di quanto non sia storicamente verificato.
    Al contrario, la linguistica storica indica, rispetto alla lingua protoceltica, un periodo di separazione di poche centinaia di anni.

    I Celtiberi

    I Celti stanziati nella Penisola iberica erano indicati, fin dall'antichità, con il nome di Celtiberi. Il termine è stato a lungo inteso come sintomo di un'ibridazione tra gruppi celtici e gruppi iberici, secondo quanto indicato nell'antichità da Diodoro Siculo, Appiano, Marziale e Strabone, che specificava come i Celti fossero il gruppo dominante; tra gli studiosi moderni, tale interpretazione è stata sostenuta da Johann Kaspar Zeuss. Più recentemente, tuttavia, l'ipotesi di una popolazione mista è stata progressivamente scartata, e con il termine Celtiberi si indicano semplicemente i Celti stanziati in Iberia.
    Il nucleo centrale dell'insediamento celtiberico corrisponde a un'area dell'odierna Spagna centrale, a cavallo tra le regioni di Castiglia, Aragona e La Rioja e compresa tra il medio bacino dell'Ebro e l'alto corso del Tago.
    La penetrazione in quest'area risale all'VIII-VII secolo a.C., anche se è possibile che alcune infiltrazioni fossero avvenute anche in epoche precedenti, fin dal X secolo a.C.; in un secondo momento, i Celtiberi si espansero verso sud (nell'attuale Andalusia) e verso nord-ovest, fino a toccare le coste atlantiche della penisola (Galizia).
    A indicare i confini esatti della penetrazione celtica nella Penisola iberica sono la toponomastica, con i caratteristici prefissi seg- e i suffissi -samo e, soprattutto, -briga, e la diffusione del corpus delle iscrizioni in celtiberico, all'interno del quale spiccano i Bronzi di Botorrita.
    Nel II secolo a.C. i Celtiberi furono sottomessi da Roma attraverso una serie di campagne militari, le Guerre celtibere; la capitolazione fu segnata dalla caduta della loro ultima roccaforte, Numanzia, espugnata nel 133 a.C. da Publio Cornelio Scipione Emiliano.
    A partire da quel momento i Celtiberi, come tutte le altre popolazioni della Penisola iberica, subirono un intenso processo di latinizzazione, dissolvendosi come popolo autonomo.

    I Galli

    Galli era il nome con cui i Romani indicavano i Celti che abitavano la regione delle Gallie.
    Dall'originaria area della Cultura di La Tène i Celti si espansero verso le coste atlantiche e lungo il corso del Reno tra i secoli VIII e V a.C.; più tardi, a partire dal 400 a.C. circa, penetrarono nell'odierna Italia settentrionale. Continuarono a premere verso sud, tanto che nel 390 a.C., secondo la tradizione, o più probabilmente nel 386 a.C., la tribù dei Senoni guidata da Brenno mise a sacco la stessa Roma, per stanziarsi infine sul medio versante adriatico (Piceno).
    Come tutte le popolazioni celtiche, i Galli erano frazionati in numerose tribù, che solo in rari casi riuscirono a coalizzarsi per far fronte a un nemico comune: come quando, nel 52 a.C., numerose tribù guidate da Vercingetorige si ribellarono alla conquista cesariana della Gallia.
    Tra le popolazioni galliche, alcuni insiemi di tribù erano accomunati da una propria sotto-identità condivisa: i Belgi, stanziati tra la Manica e il Reno e variamente mescolati a elementi germanici; gli Elvezi, collocati nell'area dell'alto Reno e dell'alto Danubio e a contatto con i Reti; gli Aquitani, tra la Garonna e i Pirenei, mescolati a popoli paleo-baschi; e i Galli cisalpini, l'insieme delle tribù penetrate nella Gallia cisalpina, al di qua delle Alpi.
    Tra le popolazioni della regione centrale della Gallia, Cesare attesta che al momento delle sue campagne si distinguevano due fazioni, capeggiate rispettivamente dagli Edui, tradizionalmente filoromani fin dal II secolo a.C., e dai Sequani, questi ultimi presto scalzati dai Remi.
    La sottomissione dei Galli a Roma si avviò nel III secolo a.C.: una serie di iniziative militare contro i Galli cisalpini portò alla loro completa sottomissione, attestata dalla creazione della provincia della Gallia cisalpina intorno al 90 a.C.
    A quella data nel territorio un tempo dei Celti erano già numerose le presenze romane, sotto forma di municipi e, soprattutto, di colonie.
    La conquista della Gallia transalpina iniziò attorno al 125-121 a.C., con l'occupazione di tutta la fascia mediterranea fra le Alpi liguri e i Pirenei, costituita successivamente nella provincia della Gallia Narbonense. La Gallia settentrionale passò sotto il dominio di Roma in seguito alle campagne condotte da Cesare tra il 58 e il 50 a.C.
    Grazie soprattutto alla testimonianza resa da Cesare nel suo De bello Gallico, la civiltà gallica è di gran lunga la più conosciuta tra quelle sviluppate dai Celti nell'antichità, anche se le osservazioni dello statista romano sono verosimilmente estendibili - almeno nelle linee generali - a tutte le popolazioni celtiche. Cesare descrive la società gallica come articolata in gruppi familiari e divisa in tre classi: quella dei produttori, composta da agricoltori provvisti di diritti formali, ma politicamente sottomessi ai ceti dominanti; quella dei guerrieri, detentori dei diritti politici, cui era affidato l'esercizio delle funzioni militari; e quella dei druidi, sacerdoti, magistrati e custodi della cultura, delle tradizioni e dell'identità collettiva di un popolo frammentato in numerose tribù.

    I Britanni

    Popolazioni celtiche raggiunsero la Gran Bretagna, superando La Manica, nell'VIII-VI secolo a.C. Dall'attuale Inghilterra meridionale si espansero in seguito rapidamente verso nord, colonizzando l'intera Gran Bretagna e l'Irlanda, sebbene nell'attuale Scozia sia a lungo sopravvissuto il popolo pre-indoeuropeo dei Pitti.
    Cesare attesta gli stretti legami, non solo culturali ma anche economici e politici, tra i Britanni e i Galli: i domini di Diviziaco, per esempio, si estendevano su entrambe le sponde della Manica e sull'isola scampavano esuli dalla Gallia che a sua volta otteneva, in caso di necessità, aiuto militare dalla Britannia.
    Una prima spedizione romana, condotta dallo stesso Cesare nel 55 a.C., non comportò un'immediata sottomissione dei Britanni.
    Questa fu compiuta circa un secolo dopo, nel 43 d.C., dall'imperatore Claudio.
    I Romani occuparono l'area degli attuali Inghilterra e Galles, erigendo a nord un limes fortificato: il Vallo di Adriano (122), in seguito spostato ancora più a nord (Vallo di Antonino, 142). Al di là del Limes (nell'attuale Scozia e in Irlanda) rimasero sia tribù britanniche, sia i Pitti.
    La latinizzazione delle tribù celtiche soggette a Roma fu intensa, ma meno di quella subita dai Galli e dai Celtiberi: alla cessazione del controllo romano della Gran Bretagna (fine IV-inizio V secolo) l'identità etnica e linguistica dei Celti era ancora viva, e sopravvisse a lungo anche alle successive invasioni germaniche. Dalla fusione dei tre elementi — celtico, latino e germanico — si sarebbero formate, durante l'alto Medioevo, le moderne popolazioni di Gran Bretagna e Irlanda.
    Gli unici eredi diretti degli antichi Celti, tra i popoli moderni, saranno proprio quelli delle Isole britanniche, che avrebbero conservato ininterrotta la tradizione linguistica dando origine alle lingue celtiche insulari, nei due rami goidelico e brittonico.

    I Pannoni

    Il processo di espansione dei Celti verso est, a partire dalla culla originaria della Cultura di La Tène, è storicamente assai meno attestato di quello avvenuto verso le Gallie.
    Comunque, si ritiene che la penetrazione in quella regione dell'Europa centrale poi individuata con il nome di Pannonia risalga agli inizi del IV secolo a.C.
    In quell'area, sul medio corso del Danubio, i Celti vennero a contatto con le tribù illiriche già presenti; in parte si mescolarono a essi, in parte rimasero separati in gruppi autonomi, etnicamente e linguisticamente omogenei.
    Quello dei Pannoni è il ramo della famiglia celtica sul quale le testimonianze sono più scarse e incerte; nulla resta della loro lingua (certo una varietà delle lingue celtiche continentali), salvo forse qualche elemento isolato che funse da sostrato per le lingue sviluppatesi successivamente in quella regione.
    Tra le tribù celtiche presenti in Pannonia spicca quella dei Boi, probabilmente il ramo orientale di una tribù presente anche nelle Gallie e penetrata in Europa centrale in un secondo momento, forse nel 50 a.C. A essi si deve il toponimo "Boemia".
    A partire dal 35-34 a.C. i Pannoni iniziarono a entrare nella sfera di influenza dei romani, che in seguito eressero la Pannonia a provincia, anche se una porzione significativa dei Pannoni rimase tuttavia inclusa nella vicina provincia del Norico. Sottoposti a latinizzazione e, più tardi, a germanizzazione, slavizzazione e magiarizzazione, i Pannoni — sia di ceppo celtico, sia di ceppo illirico — si dissolsero come popolo autonomo fin dai primi secoli del I millennio.

    I Galati

    La penetrazione dei Celti nella Penisola balcanica è attestata dalle fonti greche, che testimoniano di una migrazione che sommerse la Tracia nel 281 a.C. I Greci, forse adattando un termine impiegato da quelle stesse tribù celtiche, denominarono gli invasori γαλάται anziché κελτοί o κέλται, termine con il quale identificavano gli abitanti autoctoni delle aree grecizzate presso la colonia di Marsiglia.
    Incursioni galate si spinsero fin nel cuore della Grecia. Un'orda, guidata dal condottiero Brenno, attaccò Delfi, rinunciando solo all'ultimo minuto a profanare il tempio di Apollo: allarmato da portentosi tuoni e fulmini, rinunciò anche a riscuotere un riscatto. Sempre nel III secolo a.C., un'altra frazione del popolo, composta da tre tribù e forte di diecimila combattenti accompagnati da donne, bambini e schiavi, mosse dalla Tracia all'Anatolia su espresso invito di Nicomede I di Bitinia, che aveva chiesto il loro aiuto nella lotta dinastica che lo opponeva a suo fratello (278 a.C.).
    I Galati si stabilirono definitivamente in un'area compresa tra la Frigia orientale e la Cappadocia, in Anatolia centrale; in seguito al loro insediamento la regione assunse il nome di "Galazia". San Girolamo attesta la sopravvivenza della loro lingua (il galato, varietà di celtico continentale) fino al IV secolo d.C.; dopodiché si completò il processo di ellenizzazione dei Galati.

    Società

    La società celtica ricalcava le strutture fondamentali di quella indoeuropea, imperniata sulla "grande famiglia" patriarcale.
    Tale modello è stato preservato dai Celti anche in età storica; il gruppo familiare (clan, termine scozzese entrato nell'italiano) includeva non solo la famiglia in senso stretto, ma anche antenati, collaterali, discendenti e parenti acquisiti, comprendendo varie decine di persone.
    Più clan formavano una tribù (tuath in scozzese), a capo della quale era posto un re (in gallico rix). Alla famiglia - e non all'individuo - spettava anche la proprietà della terra.
    La struttura sociale, nota principalmente grazie alla testimonianza resa da Cesare sui Galli nei suoi Commentarii, prevedeva una notevole articolazione in classi. L'aristocrazia guerriera assolveva i compiti di difesa e di offesa ed eleggeva, secondo uno schema consueto tra gli Indoeuropei, un re dalle funzioni principalmente militari mentre prerogativa del popolo libero erano le attività economiche, imperniate sull'agricoltura e l'allevamento; si ha notizia poi dell'esistenza di schiavi. Infine vi erano i druidi, sacerdoti, magistrati e maghi, depositari delle tradizioni comunitarie, del sapere collettivo e dell'identità intertribale nella quale tutti i Celti si riconoscevano.
    Tale identità non si limitava ai singoli sottogruppi della grande famiglia celtica, ma l'abbracciava nella sua totalità; Cesare, infatti, attesta più volte i vincoli che i Galli celtici erano consapevoli di avere, non solo tra di loro, ma anche con i vicini Elvezi, Belgi, Galli cisalpini e Britanni.
    La società celtica (o almeno quella gallica) si presentava quindi come nettamente articolata in tre "funzioni": quella sacrale e giuridica, quella guerriera e quella produttiva.
    Tale struttura ispirò, accanto ad altri elementi provenienti soprattutto dalle mitologie romana, persiana e vedica, la teoria della tripartizione dell'intero immaginario indoeuropeo, formulata da Georges Dumézil. Secondo tale schema, la divisione in tre funzioni era rigida, discendeva direttamente dal sistema originario degli Indoeuropei e coinvolgeva tanto la sfera sociale delle tre classi, quanto quella ideale e religiosa.
    La teoria, sostenuta soprattutto in area francese, è stata tuttavia recentemente ridimensionata e considerata il frutto dell'idealizzazione di un insieme di fattori peculiari e specifici di alcuni gruppi indoeuropei.
    La donna godeva di uguali diritti all'interno della società dei Celti. Poteva ereditare come gli uomini ed essere eletta a qualsiasi carica, comprese quelle di druido o di comandante in capo degli eserciti; quest'ultima possibilità è attestata dalle figure di Cartimandua della tribù dei Briganti o di Boudicca degli Iceni al tempo dell'imperatore romano Claudio.

    I druidi

    I druidi svolgevano, genericamente, le funzioni sacerdotali.
    Essi tuttavia non si limitavano a essere il collegamento tra gli uomini e gli dei, ma erano anche responsabili del calendario e guardiani del "sacro ordine naturale", oltre che filosofi, scienziati, astronomi, maestri, giudici e consiglieri del re. Un'iscrizione gallica rinvenuta in Gallia meridionale (il Piombo di Larzac) conferma l'esistenza anche di donne insignite del ruolo di druide.
    Cesare riferisce il carattere elitario della sapienza all'interno della società celtica, che proibiva l'uso della scrittura per la registrazione dei precetti religiosi. L'educazione di un druido durava circa vent'anni e comprendeva insegnamenti di astronomia (disciplina della quale possedevano una padronanza tale da stupire Cesare), scienze, nozioni sulla natura; il lungo percorso educativo era dedicato in buona parte all'acquisizione mnemonica delle loro conoscenze.
    Queste conoscenze erano poi applicate all'elaborazione di un proprio calendario: il più antico calendario celtico che si conosca è quello di Coligny, databile al I secolo a.C. Esso era molto più elaborato e sofisticato di quello giuliano, e prevedeva un complesso sistema di sincronizzazione della fasi lunari con l'anno solare.

    Religione

    La principale testimonianza sulle credenze e sugli usi religiosi dei Celti è ancora una volta quella fornita da Cesare nel De bello Gallico, la quale, pur essendo riferita specificamente ai Galli, attesta verosimilmente una situazione in larga parte comune all'intero gruppo celtico all'epoca dei fatti narrati (I secolo a.C.).

    I Celti, probabilmente, condividevano una medesima visione religiosa politeista e adoravano divinità legate alla natura, con una peculiare valenza religiosa attribuita alla quercia, e alle virtù guerriere.
    Cesare riferisce anche della credenza nella trasmigrazione delle anime, che si traduceva in un'attenuazione della paura della morte tale da rafforzare il valore militare gallico.
    È nota anche l'esistenza, sempre presso i Galli, di sacrifici umani, ai quali accadeva anche che le vittime si offrissero volontariamente; in alternativa si faceva ricorso a criminali, ma in caso di necessità si immolavano anche innocenti.
    Nel pantheon gallico, Cesare testimonia il particolare culto attribuito a un dio che egli assimila al romano Mercurio, forse il dio celtico Lúg.
    Era l'inventore delle arti, la guida nei viaggi e la divinità dei commerci. Altre figure di rilievo tra gli dei gallici erano "Apollo" (Belanu, il guaritore), "Marte" (Toutatis, il signore della guerra), "Giove" (Taranis, il signore del tuono) e "Minerva" (Belisama, l'iniziatrice delle arti).
    La religione gallica fu oggetto di dura repressione ai tempi della dominazione romana; Augusto proibì i culti druidici ai cittadini romani delle Gallie e in seguito Claudio estese il divieto all'intera popolazione.

    Arte

    L'elmo di Agris (ca. 350 a.C.), capolavoro dell'arte celtica di influsso celto-italico
    L'apogeo dell'arte celtica, collocabile tra il IV e il III secolo a.C., corrisponde a un livello molto elevato raggiunto dagli artigiani di questo popolo nel creare con il fuoco oggetti di grande valore, con esempi di vero virtuosismo.
    La lavorazione ornamentale del ferro delle spade, con l'incisione diretta, la cesellatura, la fucinatura a stampo ed altri procedimenti, hanno rivelato, soprattutto dopo i recenti progressi moderni nelle tecniche di restauro archeologico, che non si trattava di opere isolate di singoli artisti di quel periodo, ma costituivano uno standard abituale sia in termini di qualità artistica sia tecnica esecutiva.

    Architettura

    L'insediamento abitativo tipico dei Celti è quello comunemente indicato dagli archeologi come "fortezza di collina": si tratta di città, in genere di modeste dimensioni, costruite sulla sommità di un'altura che ne rende facile la difesa.
    Tale schema, tipicamente indoeuropeo, è riscontrabile in quasi tutte le aree occupate storicamente da popolazioni di tale filiazione.
    Due erano i nomi utilizzati dai Celti per indicare le loro cittadelle. Nella Penisola iberica i Celtiberi (ma anche altri popoli, non indoeuropei, da essi influenzati) le chiamavano briga; nelle Gallie, prevale il termine δοῦνον (dalle prime iscrizioni galliche, in alfabeto greco), reso in latino con dūnum.
    La tecnica costruttiva impiegata dai Celti nelle fortificazione delle loro cittadelle era quella definita dai Romani murus gallicus. Cesare, nel De bello Gallico, lo descrive come una struttura composta da un'intelaiatura lignea e riempimenti di sassi.

    Fumetti e animazione

    Una rappresentazione vivida ed efficace dei Celti, anche se storicamente poco attendibile, è quella realizzata da René Goscinny e Albert Uderzo nelle loro avventure a fumetti dedicate ad Asterix il gallico.
    A partire dalla prima avventura (1959), i due autori hanno sviluppato una lunga serie di creazioni, affiancando ai fumetti, fin dal 1967, numerose trasposizioni cinematografiche (animazioni) delle vicende dei personaggi.
    I protagonisti sono tutti Galli, ma in diverse storie compaiono (sempre rappresentati umoristicamente e traendo spunto più dai moderni popoli europei che da quelli dell'antichità) anche altri popoli celtici, dai Celtiberi agli Elvezi, dai Belgi ai Britanni.
    A partire dal 1999 ha avuto inizio una nuova serie di trasposizioni cinematografiche delle avventure di Asterix, questa volta non più animata ma con attori in carne e ossa.
    Fonte: wikipedia.org
     
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