Autolesionismo: il dolore fisico sostituisce quello dell’anima

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  1. †Faith†
     
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    CITAZIONE

    Autolesionismo: il dolore fisico sostituisce quello dell’anima


    “E mentre il sangue esce a gocce dai tagli,
    mi sento euforica, leggera.
    Come se il dolore fisico
    riuscisse ad annebbiare quello sentimentale.
    Sentire i tagli che pulsano per il dolore…
    ed un misto di orgoglio, paura e vergogna,
    mi assalgono.”



    In America li chiamano cutters che significa taglierini, ma potrebbe anche essere tradotto come tagliatori, o burners che potremmo tradurre come bruciatori.
    Tagliarsi, graffiarsi, bruciarsi, mordersi, strapparsi i capelli, picchiare la testa contro il muro, anoressia, bulimia, dipendenza da droga o alcol: sono i sintomi diun’intera generazione che va dai dodici ai trent’anni, che ha perso i contatti con la realtà e a cui nessuno ha insegnato a volersi bene.
    È il nuovo e sconosciuto fenomeno dell’autolesionismo. Di cui si parla troppo poco.
    Forse ciò che non sappiamo è che il fenomeno ci circonda. Secondo un recente studio il 27% degli universitari ed il 31% degli studenti di scuola superiore afferma di essersi auto-lesionato almeno una volta nella vita.
    Altro interessante dato è che la maggior parte degli autolesionisti sono donne. Parlano di 900.000 solo di ragazze che si fanno male volontariamente.
    Lo studio però denota anche quanto poco venga confessato il fatto, persino a se stessi, ciò presuppone che i numeri rilevati siano quindi più bassi di quelli reali.

    “Ma quando vedo il sangue uscire, mi sento più libera, più leggera…non provo più la rabbia che avevo prima ..è strano, ma anche se dico non lo faccio più ci ricasco comunque.
    Tagli, sigarette spente, tentativi di modificare il mio corpo, ucciderlo, cambiarlo.”


    L’autolesionismo oltretutto crea dipendenza.

    “Ma come fai a chiuderla una cosa del genere??..rimane sempre un pò dentro di te…sentir male mi rilassa...
    Il primo taglio me l’ero procurato quasi incosciamente.. ma dopo.. non riuscivo più a fermarmi.. osservavo il sangue scendere dal mio polso..e sorridevo, compiaciuta.
    Quella sensazione… mi faceva stare bene. Credo di capire cosa prova un’eroinomane.”


    L’Autolesionismo non è una malattia mentale.
    Anzi è spesso il sintomo di una patologia (come la depressione) o dell’incapacità di sfogare la propria rabbia, il senso di emarginazione o la frustrazione.
    Gli autolesionisti nei momenti di stress, di disperazione, di rabbia, di angoscia, di noia si auto-procurano un certo dolore fisico.
    Il dolore ce lo si infligge con delle lesioni procurate con temperini, forbicine, o lamette, ma anche con spilli, aghi, o addirittura bruciandosi con la brace della sigaretta o la fiamma dell’accendino, ed in molti altri modi ancora.
    Spesso l’autolesionismo è direttamento collegato alle manie suicide mentre invece non è necessariamente un sintomo legato a queste.

    “Sento che o mi taglio o mi suicido.”

    Ma perchè lo fanno?
    Una spiegazione scientifica c’è: infatti è noto che un dolore acuto stimola il cervello a produrre ormoni con effetti rilassanti, defaticanti, analgesici e con effetti anti-shock.
    Questo porta quindi ad uno stato di sollievo e benessere.

    “Ti pianti le unghie nella pelle del polso. Non senti niente. É come se stessi guardando un film su qualcun’altro, non sei tu!”

    Una spiegazione del fenomeno è stata: “l’autolesionismo è una cosa sbagliata e forse è proprio perchè è sbagliata che si prova”. Insomma è una ribellione, ma questa spiegazione è forse superficiale, infatti la maggior parte degli autolesionisti non confessa a nessuno il suo problema.
    E allora l’idea di autolesionismo come anti-conformismo muore nel momento stesso in cui si conosce un vero autolesionista.

    “L’unica cosa che mi mette a disagio è la curiosità degli amici.. non so mai cosa rispondere quando mi chiedono come me li sono procurata!”

    Forse invece di giudicare bisognerebbe capire il disagio profondo che si nasconde dietro l’autolesionismo.

    “I tagli riempiono il mio vuoto, la tristezza che provo quando mi sento di troppo anche in casa mia. Per un po’ mi occupo solo del dolore fisico, distogliendomi temporaneamente da quello interiore.”

    Oggi il fenomeno è in aumento ed è probabilmente l’ennesimo sintomo della malattia della nostra società.
    Da molti scritti di autolesionisti si capisce come l’autolesionismo sia l’unico sfogo concesso alla persona, obbligata ad attenersi ad un certo modello sociale.

    “Allegra, vivace con voglia di fare e sempre entusiasta, questa è la mia maschera perfetta…che ormai da una vita indosso…
    L’unico momento in cui posso essere me stessa è quando vedo il sangue uscire dalle mie braccia quando lo sento che esce dalla mia anima mi sento potente, libera, quando il cervello si annebbia e la lama scorre sulla mia pelle come un pennello scorre su una tela io mi sento invincibile, finalmente libera!
    Sotto una faccia da “adolescente-tipo” nascondo ogni cosa, e quando non ne posso più di mostrare il sorrisino dico semplicemente “Sono stanca, vado a dormire”.In realtà le mie notti si tingono di rosso.”


    La maggior parte degli autolesionisti è perfezionista ed anche per questo “si punisce” con il dolore, perché non si accetta o, ancora peggio, si disprezza.

    “Autostima zero! Allora mi tolgo la camicia, mi guardo allo specchio. Odio, disgusto, frustrazione, rabbia, rimorso.
    Quasi come in un rituale, senza nemmeno pensare a quel che faccio, prendo la lametta... sangue che gocciola perchè io sono semplicemente stanca, stanca di me, di essere quella che sono, di vivere la mia vita.”


    L’autolesionista cerca di trasformare l’impalpabile dolore sentimentale in dolore fisico.
    Tutto il disagio interiore che non si è in grado di gestire, tramutato in sofferenza fisica, diventa più facilmente gestibile e più reale della sofferenza emozionale

    ”Il dolore era enorme e uscì molto sangue! Però, all’improvviso, i dolori del mio animo sparirono!
    I miei dolori interiori si trasferirono nel braccio e il sangue, che usciva, mi liberò dall’immensa pressione. Tutte le lacrime che non erano mai uscite, in quel momento scorrevano come sangue dal mio braccio – lacrime rosse.
    Tagliarsi è sempre meglio di suicidarsi. Tagliarmi mi dava la possibilità di lasciare fuori i dolori in un modo controllabile.“


    A volte ci si sente talmente morti dentro, talmente apatici, da ricercare nella sofferenza fisica una prova che si è ancora vivi.
    Non si è in legame con il proprio corpo e il dolore fisico è l’unico modo che si ha per sentire di esistere, per percepire il proprio corpo.

    “Non mi sento viva, perché io non vivo io sopravvivo. Non sono ne felice ne triste e per questo non ce la faccio più io conosco la grandezza della mia sofferenza perché la mia sofferenza è la totale mancanza di significato della mia vita e ciò che avviene della mia anima che sopravvive è una morte giornaliera, ho pensato spesso al suicidio e così ho conosciuto l’autolesionismo tagliarmi è il mio obbiettivo giornaliero.”


    Per guarire dall’autolesionismo si segue solitamente una terapia farmacologica, solitamente che evita il ripresentarsi di situazioni di “debolezza” , supportata logicamente da una terapia psicologica per evitare una futura dipendenza da farmaci psicoattivi.

    “La lametta non la tocco più, ora tutto il mio vuoto lo riempiono le pilloline colorate, ogni mio problema ha una soluzione, se voglio dormire, se voglio mangiare, se voglio calmarmi…
    Troppo facili ed efficaci per rinunciarvi.”


    Ecco allora forse l’autolesionista può essere chiunque.

    Fonte: www.dissonanzegiornale.it - Articolo di Selene Belingheri
     
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0 replies since 24/9/2012, 09:07   51 views
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