Santi

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    Il termine santo (abbreviato al plurale in SS. o ss. Ss.) viene usato per definire ogni persona, oggetto o manifestazione che si ritiene essere correlata alla divinità ed è derivato dal latino sanctus, participio passivo del verbo sancīre, con la valenza di "prescritto per legge".
    Nel significato moderno, il termine santo è utilizzato principalmente riferendosi a ciò che si ritiene inviolabile, in quanto consacrato da una legge religiosa, oppure venerato religiosamente, o considerato degno di venerazione.

    Cristianesimo - Chiesa cattolica

    Per la fede cattolica, "santo" è colui che sull'esempio di Gesù Cristo, animato dall'amore, vive e muore in grazia di Dio; in senso particolare è colui che in vita si è distinto per l'esercizio delle virtù cristiane in forma eroica o per aver dato la vita a causa della fede (i martiri).
    La Chiesa cattolica, attraverso un atto proprio del magistero del Papa, proclama santo una persona solo in seguito all'esito di un articolato procedimento detto canonizzazione.
    Per i cattolici, il santo è colui che pienamente risponde alla chiamata di Dio ad essere così come Egli lo ha pensato e creato, frammento nel quotidiano del suo amore per l'umanità.
    La fede cattolica insegna che Dio ha per ogni persona un'idea particolare, ed assegna ad ognuno un posto preciso nella comunità dei credenti.
    Non esistono dunque caratteristiche univoche di santità, ma nella teologia cattolica, ognuno ha una santità particolare da scoprire e porre in atto.
    Santo, per la fede cattolica, può e deve essere chiunque, senza la necessità di particolari doni o capacità.
    Tra i santi, che la Chiesa riconosce essere in numero ampiamente maggiore rispetto a coloro che ufficialmente vengono riconosciuti come tali, se ne distinguono alcuni che, nella fede, sono stati posti da Dio in particolare evidenza come, ad esempio, i fondatori di ordini religiosi o i grandi riformatori della Chiesa.
    Il santo viene proposto come modello a tutti i fedeli ed agli uomini di buona volontà non tanto per quanto ha fatto o detto, ma poiché si è messo in ascolto ed a disposizione di Dio accettando, nella fede, che fosse Lui a dirigere attraverso l'opera dello Spirito Santo la sua vita.
    Per la Chiesa cattolica, dunque, a dover essere imitato è soprattutto l'atteggiamento di obbedienza a Dio e l'amore al prossimo che ogni santo ha reso reale nei modi più diversi.

    Dal momento della sua morte, dopo il giudizio, il santo o santa è in Paradiso, vive in eterno la totale comunione con Dio che in vita ha pregustato e continua a partecipare pienamente del progetto amorevole di Dio sul creato.
    Infatti dalla comunione con Dio nasce la possibilità, per il santo, di essere intercessore per i vivi, ossia un canale privilegiato di amore da parte di Dio verso coloro che ancora - dice la Chiesa - vivono il pellegrinaggio terreno.
    Questa comunione, nel credo della Chiesa, è detta comunione dei santi o comunione delle cose sante.
    Questa verità di fede parte dal presupposto che tutti coloro che sono cristiani, vivi o defunti, partecipino dell'unico corpo di Cristo che è la Chiesa.
    Dunque la felicità, la gioia, l'amore che una parte del corpo riceve e vive arreca giovamento, dal punto di vista spirituale, a tutto il corpo.
    Coloro che già vivono la pienezza dell'incontro con Dio stimolano, con l'esito della propria vita terrena, coloro che ancora non vi sono arrivati suscitando in loro la speranza di partecipare della medesima gioia.
    Nella devozione cattolica i santi sono oggetto di venerazione (gr. dulìa) e non di adorazione (gr. latria), che è dovuta solo e soltanto a Dio e che non può essere tributata ad una creatura, per quanto grande sia.

    Cenni storici

    Nei primi tempi del Cristianesimo, il termine santo indicava genericamente qualsiasi cristiano, in quanto "santificato", cioè "messo da parte", "appartato", "consacrato" e non solo perché reso sacro da Dio per mezzo del battesimo, come poi successivamente indicato dalla Chiesa cattolica.
    I santi quindi erano tutti i seguaci di Cristo (apostoli e discepoli). Gente fisicamente e spiritualmente viva che si sforzava di seguire Cristo e le scritture.
    Paolo di Tarso, ad esempio, indirizza la sua Lettera agli Efesini «ai santi che sono in Efeso». Vedi anche santificazione e Comunione dei Santi.
    In seguito, con il termine si cominciò ad indicare principalmente i cristiani uccisi per la loro fede in Cristo, cioè i "martiri", per distinguerli da coloro che per non subire il martirio rinnegavano la fede in Cristo.
    Il culto dei martiri fu una evoluzione del culto per i defunti: già Agostino faceva notare che più che pregare per un martire defunto occorreva che il martire pregasse per i viventi.
    Ad incentivare poi il culto dei martiri fu papa Damaso I, il quale - terminate le persecuzioni - restaurò le catacombe e rintracciò le tombe dei santi.
    Con il termine delle persecuzioni, ai martiri furono associati, come santi, i cosiddetti confessori, persone cioè che, pur non essendo state martirizzate, avevano professato ("confessato") la loro fede cristiana per tutta la vita.
    Tra i primi santi non martiri è da citare san Martino di Tours. Via via i santi riconosciuti come tali aumentarono, e così nacquero altre tipologie di santi che li raggruppavano: vergini, dottori della Chiesa, santi educatori, eccetera.

    Nel Medioevo, con la compilazione di elenchi di santi ausiliatori, cioè di santi che erano ritenuti capaci di svolgere una specifica intercessione per problemi particolari - solitamente di salute -, nacque l'usanza dei patronati.
    Tra i santi ausiliatori, si può citare san Biagio per le malattie della gola, sant'Agata per le malattie del seno, sant'Apollonia per i denti e santa Lucia per la vista.
    Con l'aumentare della devozione ai santi aumentarono anche gli abusi: la ricerca delle reliquie dei santi più venerati sfociò spesso in aberrazioni commerciali ed in vere e proprie guerre tra città per il loro possesso.
    Possedere una reliquia "potente", infatti, implicava un aumento del prestigio della città, un incremento dei pellegrini e quindi delle ricchezze che questi portavano.
    Gli abusi commessi in relazione al culto dei Santi furono una della cause dello scisma protestante.
    Già dal Concilio di Trento la Chiesa cattolica si applicò con fermezza per porre un freno alle aberrazioni e ripristinare il significato spirituale del culto.
    Nel XX secolo, dopo il Concilio Vaticano II e ad opera soprattutto di Giovanni Paolo II, il concetto di santità è stato interpretato in senso più ampio e più moderno di quanto non fosse in precedenza: prima era attribuita quasi totalmente a persone che avevano dedicato la propria vita alla Chiesa cattolica nella vita consacrata, ovvero presbiteri, vescovi e suore. Successivamente si ebbero diversi santi laici, sposati o meno che fossero.
    Da qui la canonizzazione di esempi di coniugi come Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi o la beatificazione di laici impegnati come Piergiorgio Frassati.
    Nella visione cattolica come è chiaramente espressa dal Concilio Vaticano II nella costituzione dogmatica Lumen Gentium, la santità è possibile in ogni chiamata di vita, sia essa laica o religiosa; anzi ogni essere umano è chiamato alla santità, cioè ad uniformare la propria esistenza terrena al volere di Dio; dove per volere di Dio si intende lì dove viviamo la nostra quotidiana fatica, dove Dio ci ha portato e creato.

    Santi non storici

    Alcuni teologi cattolici e protestanti credono che molte delle persone venerate come Sante di cui si narra la vita in agiografie e prevalentemente il martirio in passiones dei primi secoli del Cristianesimo, non siano mai esistite; per indicare questo fenomeno questi santi vengono chiamati non storici.
    È difficile stabilire con esattezza quali santi siano effettivamente non storici: infatti è molto più complicato dimostrare la non esistenza di una persona che non la sua esistenza, vista la scarsità di fonti contemporanee o indipendenti.
    Un gran numero dei santi cristiani antichi hanno nomi pagani; probabilmente si trattava di convertiti al cristianesimo poi diventati santi.
    In alcuni casi tuttavia è possibile che avvenisse un trasferimento del culto da divinità pagane a santi cristiani in maniera più o meno diretta.
    Dato che, dopo i decreti teodosiani, non era più possibile venerare dèi pagani, il culto sarebbe stato cristianizzato dai fedeli in questo modo, ufficialmente sostituendo la venerazione diretta di una divinità con una richiesta di intercessione, mantenendo però la sostanza e le usanze del culto politeista (santa Venere, san Mercurio ecc.).
    I miti relativi a queste divinità sarebbero di conseguenza anche stati integrati nel racconto della vita e dei miracoli del Santo omonimo: un esempio di questo processo avvenne, secondo queste teorie, con santa Brigida d'Irlanda, il cui culto è del tutto analogo a quello della divinità celtica Brigida.
    Inoltre altri miti pre-cristiani, quali gli aneddoti e favole riguardanti gli antichi eroi, potrebbero anche essersi fusi con le figure di alcuni santi.
    Naturalmente per tutti questi santi si sarebbero inventate vite esemplari, piene di particolari edificanti e si celebrarono i martirii che essi avrebbero subito.
    Già dal XVII secolo, per opera della scuola critica dei Gesuiti Bollandisti, cominciò un'accurata revisione delle antiche documentazioni agiografiche con criteri di critica storica; tuttavia i semplici fedeli tendono a rimanere affezionati a familiari figure di santi, e il gesto di papa Giovanni XXIII che, nell'agosto del 1962, fece cancellare dal calendario santa Filomena e san Giorgio provocò sorpresa e dispiacere.

    I santi cattolici

    Tra i santi la Chiesa cattolica venera anzitutto Maria, la madre di Gesù: il culto della Madonna, detto iperdulia, è considerato di livello superiore alla dulia riservata agli altri santi.
    Un culto particolare è riservato a San Giuseppe lo sposo di Maria.
    A Lui spetta un culto di protodulia definito anche di somma dulia. Il culto è la testimonianza dell'onore e dell'eccellenza di San Giuseppe su tutti i santi.
    La grandezza di San Giuseppe è la maggiore dopo quella di Gesù Cristo e di Maria.
    Hanno speciale importanza poi, gli apostoli, ed i martiri.
    Altre categorie considerate particolarmente insigni sono i Padri della Chiesa cioè i più antichi e autorevoli espositori della dottrina cristiana quali ad esempio Sant'Agostino, e i dottori della Chiesa più recenti dei Padri ma anch'essi autorevoli, come san Tommaso d'Aquino.
    Altre categorie di santi sono quella dei confessori cioè cristiani che hanno vissuto con coerenza eroica la fede, e le vergini soprattutto donne consacrate. Si elenca qualche esempio tra i santi maggiormente conosciuti e amati in Italia: san Francesco d'Assisi, sant'Antonio di Padova, santa Rita da Cascia, santa Caterina da Siena, san Benedetto da Norcia, san Giovanni Bosco, san Luigi Orione, san Pio da Pietrelcina, san Francesco Saverio, san Luigi Gonzaga.
    In Italia è diffusa la tradizione dell'onomastico, ossia di festeggiare in famiglia (magari con un semplice augurio) il giorno dedicato a un Santo che portò lo stesso nome del festeggiato. Tale giorno coincide spesso con la data della morte (considerata dies natalis, giorno della nascita al Cielo).
    Il nome di santo che si trova nella casella quotidiana di molti calendari è solo uno tra i parecchi nomi che possono essere riferiti a quel giorno.
    Egualmente è possibile che più santi omonimi, morti in giorni diversi di epoche diverse, abbiano portato lo stesso nome, e quindi rimane al gusto dell'interessato di scegliersi il giorno per l'onomastico.

    La canonizzazione

    Il processo per mezzo del quale la Chiesa cattolica riconosce una persona come santo, si chiama canonizzazione.
    Dopo la morte di una persona ritenuta "santa" viene avviato il processo di canonizzazione.
    Il processo viene istruito per verificare l'eroicità dei carismi della fede cristiani della persona candidata.
    Ne ha competenza la Congregazione delle Cause dei Santi, le fasi del processo sono fondamentalmente quattro, e man mano che la causa va avanti di fase in fase, la persona in questione, riceverà i seguenti appellativi:
    - Servo di Dio
    - Venerabile
    - Beato
    - Santo

    Altre accezioni del termine santo

    La parola "santo" si usa anche come aggettivo riferito alla Chiesa e a tutto ciò che la tradizione cattolica considera sacro o consacrato al culto:
    - Oli santi: il Crisma, l'Olio dei Catecumeni e l'Olio degli Infermi;
    - Anno Santo: quello del Giubileo;
    - Settimana Santa, e ugualmente Lunedì, Martedì, Mercoledì, Giovedì, Venerdì e Sabato Santo: precedono la Pasqua di Resurrezione;
    - Santa Sede: l'ufficio del papa di governare la Chiesa cattolica;
    - Santo Padre: appellativo del papa;
    - Terra Santa: la Palestina, in quanto Gesù vi nacque e vi soffrì la sua passione;
    - Santo Sepolcro: quello di Gesù a Gerusalemme;
    - Porta santa: quelle porte delle quattro Basiliche maggiori che si aprono negli anni santi.

    Chiese ortodosse

    Nella Chiesa cristiana ortodossa è definito Santo chiunque si trovi in paradiso, che sia riconosciuto come tale sulla terra o meno. Secondo questa definizione, Adamo ed Eva, Mosè, i vari profeti, gli angeli e gli arcangeli hanno tutti il titolo di Santo.
    Gli ortodossi credono che Dio riveli i suoi santi, spesso rispondendo a preghiere o con altri miracoli.
    Per gli ortodossi, il riconoscimento formale di un santo avviene molti anni dopo che questi è stato riconosciuto da una comunità locale.
    Esistono numerosi piccoli seguiti locali per innumerevoli santi che non sono ancora stati riconosciuti dalla Chiesa ortodossa nel suo insieme. Si deve sottolineare che comunque questo riconoscimento non è necessario, un santo rivelato, anche su piccola scala è comunque un santo.
    Ci sono comunque spesso casi in cui Dio rivela i suoi santi su una scala più ampia, perfino mondiale.
    In tali casi, dopo un attento processo di delibera da parte di un sinodo di vescovi, si ha un formale servizio di glorificazione col quale al santo viene assegnato un giorno nel calendario, così che possa essere celebrato dall'intera chiesa.
    Questo fu il caso della santificazione dello zar Nicola II di Russia e della sua famiglia. Inizialmente i membri della famiglia reale vennero riconosciuti come martiri dalla Chiesa Ortodossa Russa in esilio nel 1981, dopo di che, molti credenti in Russia iniziarono a pregare lo Zar e la sua famiglia.
    Vennero riportati dei miracoli, compresa un'icona ritenuta miracolosa che portò a un'immediata glorificazione locale. Nel 2000, lo Zar e la sua famiglia vennero glorificati ufficialmente dalla Chiesa ortodossa russa.
    Si crede che uno dei modi con cui Dio rivela la santità di una persona possa essere l'inusuale e presumibilmente miracolosa condizione delle sue reliquie (dei suoi resti).
    Nei paesi ortodossi è spesso usanza di riutilizzare le tombe dopo 3 o 5 anni, a causa dello spazio limitato.
    Le ossa vengono rispettosamente lavate e poste in un ossario, spesso con il nome della persona scritto sul teschio. Occasionalmente, quando un corpo viene esumato, avviene qualcosa di "miracoloso".
    Ci sono stati numerosi casi in cui le ossa esumate avevano improvvisamente sprigionato una fragranza meravigliosa, come di fiori; o talvolta i resti del corpo erano intatti e privi di segni di decadimento, come nel giorno in cui la persona era morta, nonostante non fossero stati imbalsamati (tradizionalmente gli ortodossi non imbalsamano i morti) e fossero stati sepolti per 3 o 5 anni.
    Il motivo per cui le reliquie sono considerate sacre è perché, per gli ortodossi, la separazione di corpo e anima è innaturale.
    Corpo e anima assieme costituiscono la persona, e alla fine, le due parti verranno riunite; quindi, il corpo di un santo condivide la "santità" dell'anima del santo.
    Come regola generale, solo il clero può toccare le reliquie, allo scopo di spostarle o portarle in processione, comunque, nella venerazione, i fedeli baceranno le reliquie per mostrare amore e rispetto nei confronti del santo.
    Ogni altare di ogni chiesa ortodossa contiene delle reliquie, solitamente di martiri. Gli interni delle chiese ortodosse sono ricoperti con le icone dei santi.
    Siccome la chiesa non mostra una reale distinzione tra i vivi e i morti (i santi sono vivi in paradiso), gli ortodossi trattano i santi come se fossero ancora presenti.
    Li venerano e richiedono le loro preghiere, e li considerano fratelli e sorelle in Gesù Cristo. i santi sono venerati e amati e viene chiesto loro di intercedere per la nostra salvezza, ma deve essere compreso chiaramente che non devono essere adorati, ma piuttosto trattati con il rispetto dovuto a chiunque abbia combattuto e vinto per la giusta causa.
    Questo pone i santi in una posizione in cui possono aiutare l'umanità tramite la loro diretta comunione con Dio, attraverso l'intercessione per la nostra salvezza, e addirittura occasionalmente con la loro interazione diretta.
    Si crede che molti santi siano apparsi allo scopo di aiutare la gente in momenti di bisogno.
    Tradizionalmente, quando una persona viene battezzata nella Chiesa ortodossa, poiché "nasce nuovamente" ed è una persona nuova, le viene dato un nuovo nome, sempre appartenuto ad un santo.
    È comune che indipendentemente dal nome con cui una persona è nata, questa persona inizi ad usare come suo esclusivamente il nome del suo santo.
    Questo santo diventa il patrono personale e invece del compleanno il battezzato celebra il giorno del suo santo con una maggiore importanza.

    Fonte: http://it.wikipedia.org
     
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    San Francesco d'Assisi


    San Francesco d'Assisi, nato Francesco Giovanni di Pietro Bernardone (Assisi, 26 settembre 1182 – Assisi, 3 ottobre 1226), è stato un religioso italiano.
    Fondatore dell'ordine che da lui poi prese il nome, è venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
    Il 4 ottobre ne viene celebrata la memoria liturgica in tutta la Chiesa cattolica (festa in Italia; solennità per la Famiglia francescana). È stato proclamato, assieme a Santa Caterina da Siena, patrono principale d'Italia il 18 giugno 1939 da papa Pio XII.
    Conosciuto anche come "il poverello d'Assisi", la sua tomba è meta di pellegrinaggio per decine di migliaia di devoti ogni anno.
    La città di Assisi, a motivo del suo illustre cittadino, è assurta a simbolo di pace, soprattutto dopo aver ospitato i due grandi incontri tra gli esponenti delle maggiori religioni del mondo, promossi da Giovanni Paolo II nel 1986 e nel 2002, e da Benedetto XVI nel 2011. Oggi, S. Francesco d'Assisi è uno dei santi più popolari e venerati del mondo.
    Oltre all'opera spirituale, Francesco, grazie al Cantico delle creature, è riconosciuto come uno degli iniziatori della tradizione letteraria italiana.

    L'infanzia

    Francesco nacque nel 1182 da Pietro Bernardone dei Moriconi e dalla nobile Pica Bourlemont, in una famiglia della borghesia emergente della città di Assisi, che, grazie all'attività di commercio in Provenza (Francia), aveva raggiunto ricchezza e benessere.
    Sua madre lo fece battezzare con il nome di Giovanni (dal nome dell'apostolo Giovanni) nella chiesa costruita in onore del patrono della città, il vescovo e martire Rufino, cattedrale dal 1036. Tuttavia il padre decise di cambiargli il nome in Francesco, insolito per quel tempo, in onore della Francia che aveva fatto la sua fortuna.
    La sua casa, situata al centro della città, era provvista di un fondaco utilizzato come negozio e magazzino per lo stoccaggio e l'esposizione di quelle stoffe che il mercante si procurava con i suoi frequenti viaggi in Provenza. Pietro vendeva la sua pregiata merce in tutto il territorio del Ducato di Spoleto in cui all'epoca rientrava anche la città di Assisi.
    Le varie agiografie del santo non parlano molto della sua infanzia e della sua giovinezza: è comunque ragionevole ritenere che egli fosse stato indirizzato dal padre a prendere il suo posto negli affari della famiglia.
    Dopo la scuola presso i canonici della cattedrale, che si teneva nella chiesa di San Giorgio (dove, a partire dal 1257, venne costruita l'attuale basilica di Santa Chiara), a 14 anni Francesco si dedicò a pieno titolo all'attività del commercio. Egli trascorreva la sua giovinezza tra le liete brigate degli aristocratici assisiati e la cura degli affari paterni.

    La guerra

    Si ha memoria di una guerra che nel 1154 contrappose Assisi a Perugia.
    Tra le due città esisteva una rivalità irriducibile, che si protrasse per secoli. L'odio aumentò con il fatto che Perugia si schierò con i guelfi, mentre Assisi parteggiò per la fazione ghibellina.
    Non fu una scelta felice quella degli assisiati in quanto nel 1202 subirono una cocente sconfitta a Collestrada, vicino Perugia.
    Anche Francesco, come gli altri giovani, partecipò al conflitto; venne catturato e rinchiuso in carcere. L'esperienza della guerra e della prigionia lo sconvolsero a tal punto da indurlo ad un totale ripensamento della sua vita: da lì iniziò un cammino di conversione, che col tempo lo portò «a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell'intimità del cuore».
    La guerra terminò nel 1203 e Francesco, gravemente malato, dopo un anno di prigionia ottenne la libertà dietro il pagamento di un riscatto, a cui provvide il padre.
    Tornato a casa, recuperò gradatamente la salute trascorrendo molte ore tra i possedimenti del padre. Secondo Tommaso da Celano furono questi luoghi appartati che contribuirono a risvegliare in lui un assoluto e totale amore per la natura, che vedeva come opera mirabile di Dio.

    La conversione

    Da un punto di vista storico le circostanze della conversione di san Francesco non sono state chiarite e si hanno notizie solo attraverso le agiografie.
    Pare che abbia giocato un ruolo la sua volontà frustrata di farsi cavaliere e di partire per la crociata, ma soprattutto un crescente senso di compassione che gli ispiravano i deboli, i reietti, gli ammalati, gli emarginati: questa compassione si sarebbe trasformata poi in una vera e propria "febbre d'amore" verso il prossimo.

    Nel 1203-1204 Francesco pensò di partecipare alla Crociata e quindi provò a raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne, per poi muovere con gli altri cavalieri alla volta di Gerusalemme.
    Partecipare come cavaliere ad una crociata era a quel tempo considerato uno dei massimi onori per i cristiani d'Occidente. Tuttavia, giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente ed ebbe un profondo ravvedimento. Avrebbe raccontato in seguito di essere stato persuaso da due rivelazioni notturne: nella prima egli scorse un castello pieno d'armi ed udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo.
    Nella seconda sentì nuovamente la stessa voce chiedergli se gli fosse stato «più utile seguire il servo o il padrone»: alla risposta: «Il padrone», la voce rispose: «Allora perché hai abbandonato il padrone, per seguire il servo?».
    Francesco rinunciò al proprio progetto e tornò ad Assisi.
    Da allora egli non fu più lo stesso uomo. Si ritirava molto spesso in luoghi solitari a pregare.
    Un giorno a Roma, dove venne mandato dal padre a vendere una partita di merce, non solo distribuì il denaro ricavato ai poveri, ma scambiò le sue vesti con un mendicante e si mise a chiedere l'elemosina davanti alla porta di San Pietro.

    Anche il suo atteggiamento nei confronti delle altre persone mutò radicalmente: un giorno incontrò un lebbroso e, oltre a dargli l'elemosina, lo abbracciò e lo baciò.
    Come racconterà lo stesso Francesco, prima di quel giorno non poteva sopportare nemmeno la vista di un lebbroso: dopo questo episodio, scrisse che «ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza d'anima e di corpo». (dal Testamento di san Francesco, 1226)

    Ma è nel 1205 che avvenne l'episodio più importante della sua conversione: mentre pregava nella chiesa di San Damiano, raccontò di aver sentito parlare il Crocifisso, che per tre volte gli disse: «Francesco, va' e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».
    Dopo quell'episodio, le "stranezze" del giovane si fecero ancora più frequenti: Francesco fece incetta di stoffe nel negozio del padre e andò a Foligno a venderle, vendette anche il cavallo, tornò a casa a piedi e offrì il denaro ricavato al sacerdote di San Damiano perché riparasse quella chiesina.
    Pietro di Bernardone diventò furente; molti ad Assisi furono solidali con quel padre che vedeva tradite le proprie aspettative: Francesco nella sua eccessiva generosità poteva essere interpretato come uno che dava sintomi di squilibrio mentale e così sicuramente lo intese il padre.

    Il processo davanti al vescovo

    Il padre cercò, all'inizio, di allontanare Francesco per nasconderlo alla gente. Poi, vista la sua incapacità di fronte all'irriducibile "testardaggine" del figlio, decise di denunciarlo ai consoli per vietarlo e privarlo, non tanto per il danno poco costoso subito, quanto piuttosto con la segreta speranza che, sotto la pressione della punizione della condanna dalla città, il ragazzo cambiasse atteggiamento.
    Il giovane, però, si appellò ad un'altra autorità: fece ricorso al vescovo. Il processo si svolse così nel mese di gennaio (o febbraio) del 1206, nel palazzo del vescovo; «tutta Assisi» fu presente al giudizio.
    Francesco, non appena il padre finì di parlare, «non sopportò indugi o esitazioni, non aspettò né fece parole; ma immediatamente, depose tutti i vestiti e li restituì al padre [...] e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: "Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d'ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza".»
    Francesco diede così inizio ad un nuovo percorso di vita.
    Il vescovo Guido lo coprì pudicamente agli sguardi della folla (pur non comprendendo a pieno quel gesto plateale).
    Con quest'atto di manifesta protezione si volle leggere l'accoglienza di Francesco nella Chiesa.

    Il soggiorno a Gubbio

    Da uomo nuovo Francesco cominciò il suo viaggio: nell'inverno 1206 partì per Gubbio, dove il giovane aveva da sempre diversi amici, tra cui Federico Spadalonga che aveva condiviso con Francesco anche la prigionia nelle carceri di Perugia; Federico lo accolse benevolmente nella sua casa, lo sfamò e lo rivestì.
    Ospite degli Spadalonga, Francesco «amante di ogni forma di umiltà, si trasferì dopo pochi mesi presso i lebbrosi restando con loro e servendo a loro tutti con somma cura
    Si trattava del lebbrosario di Gubbio che era intitolato a san Lazzaro di Betania, e nel suo Testamento Francesco disse chiaramente che la vera svolta verso la piena conversione ebbe inizio per lui a Gubbio, quando si era accostato a queste persone bisognose.
    Francesco non vi ebbe mai una fissa dimora: solo sette anni più tardi (nel 1213) il beato Villano, Vescovo di Gubbio, già Abate benedettino dell'Abbazia di San Pietro, concesse ai frati di stabilire una loro sede nell'antica Santa Maria della Vittoria, che la tradizione indica come il luogo in cui Francesco ammansì il famoso lupo.

    I primi compagni e la predicazione

    Arrivata l'estate e placatosi lo scandalo sollevato dalla rinuncia dei beni paterni, Francesco ritornò ad Assisi.
    Per un certo periodo se ne stette solo, impegnato a riparare alcune chiese in rovina, come quella di San Pietro (al tempo, fuori le mura), la Porziuncola a Santa Maria degli Angeli e San Damiano.
    I primi anni della conversione furono caratterizzati dalla preghiera, dal servizio ai lebbrosi, dal lavoro manuale e dall'elemosina. Francesco scelse di vivere nella povertà volontaria, ispirandosi all'esempio di Cristo, lanciando un messaggio opposto alla società duecentesca dalle facili ricchezze.
    Francesco rinunciò alle attrattive mondane, vivendo gioiosamente come un ignorante, un "pazzo" ovvero un "giullare", dimostrando come la sua obiezione ai valori fondanti della società di allora potesse generare una perfetta letizia.
    In questo senso il suo esempio aveva un che di sovversivo rispetto alla mentalità del tempo.

    Il 24 febbraio 1208, giorno di san Mattia, dopo aver ascoltato il passo del Vangelo secondo Matteo nella chiesa di Santa Maria degli Angeli ad Assisi, Francesco sentì fermamente di dover portare la Parola di Dio per le strade del mondo.
    Iniziò così la sua predicazione, dapprima nei dintorni di Assisi.
    Ben presto altre persone si aggregarono a lui e, con le prime adesioni, si formò il primo nucleo della comunità di frati.
    Il primo di essi fu Bernardo di Quintavalle, suo amico d'infanzia. Tra gli altri si ricordano Pietro Cattani, Filippo Longo di Atri, frate Egidio, frate Leone, frate Masseo, frate Elia Bombarone, frate Ginepro. Insieme ai suoi compagni, Francesco iniziò a portare le sue predicazioni fuori dall'Umbria.
    Secondo le fonti del tempo, le sue sono prediche semplici e di grande presa: quando Francesco parla, riesce a conquistare gli ascoltatori.
    Nei Fioretti di San Francesco si narra ad esempio che a "Cannaia" ovvero Cannara (in alcune trascrizioni "Carnano"), gli abitanti rimangono affascinati dalle sue parole, a tal punto da suscitare una sorta di conversione di massa.
    È in questa circostanza che Francesco pensa alla creazione del Terz'Ordine oggi denominato Ordine Francescano Secolare. In alcune versioni più tardive dei Fioretti al posto di "Carnano" o "Cannaia" (ovvero Cannara) si legge "Savurniano" ma si tratta molto probabilmente di una trascrizione errata dettata da forme campanilistiche del tempo.
    Secondo un'interpretazione che associa la nascita del Terz'Ordine Francescano al miracolo del "silenzio delle rondini" si può desumere dagli scritti del primo biografo francescano, frate Tommaso da Celano, che la fondazione (o almeno la promessa) da parte di San Francesco di istituire il Terz’Ordine Francescano è stata fatta nel 1212 ad Alviano, un borgo tra Orte ed Orvieto, poco distante da Todi. La stessa esegesi è possibile farla nella "Legenda Maior" di San Bonaventura.

    L'approvazione del Papa


    Nel 1209, quando Francesco ebbe raccolto intorno a sé dodici compagni, si recò a Roma per ottenere l'autorizzazione della regola di vita, per sé e per i suoi frati, da parte di papa Innocenzo III. Dopo alcune esitazioni iniziali, il Pontefice concesse a Francesco la propria approvazione orale per il suo «Ordo fratum minorum»: a differenza degli altri ordini pauperistici, Francesco non contestava l'autorità della Chiesa, e la considerava come "madre", e le offriva sincera obbedienza. Francesco era la personalità ideale per Innocenzo, che poteva finalmente incanalare le inquietudini e il bisogno di partecipazione dei ceti più umili nel seno della Chiesa, senza porsi come antagonista ad essa scivolando nell'eresia.
    Del testo presentato al Papa non ci è rimasta traccia. Gli studiosi pensano, tuttavia, che esso consistesse principalmente in brani tratti dal Vangelo, che col passare degli anni, insieme ad alcune aggiunte, confluirono a formare la «Regola non bollata», che Francesco scrisse alla Porziuncola nel 1221.

    Fondazione dei primi Conventi

    Di ritorno da Roma, i frati si installarono in un "tugurio" presso Rivotorto, sulla strada verso Foligno, luogo scelto perché vicino ad un ospedale di lebbrosi.
    Tale posto tuttavia era umido e malsano, e i frati dovettero abbandonarlo l'anno successivo, stabilendosi presso la piccola badia di Santa Maria degli Angeli, sulla pianura del Tescio, in località Porziuncola. Abbandonata in mezzo al bosco di cerri, venne concessa a Francesco e ai suoi frati dall'Abate di San Benedetto del Subasio.

    Vocazione di Chiara e fondazione dell'Ordine femminile

    Questa nuova «forma di vita» attirò anche le donne: la prima fu Chiara Scifi, figlia del nobile assisiate Favarone di Offreduccio.
    Nella notte della Domenica delle Palme del 1211 (o del 1212), a Santa Maria degli Angeli, chiese a Francesco di poter entrare a far parte del suo ordine, e quella stessa notte ricevette l'abito religioso dal santo.
    Francesco la sistemò per un po' di tempo prima presso il monastero benedettino di Bastia Umbra, poi in quello di Assisi. In seguito, quando altre ragazze (fra cui anche la sorella di Chiara, Agnese) seguirono il suo esempio, presero dimora nella chiesetta di San Damiano e diedero inizio a quello che in futuro saranno le clarisse, in cui si distingueranno sante come Caterina da Bologna, Camilla da Varano, Eustochia da Messina.
    Negli stessi anni diede vita al convento di Montecasale, dove insediò una piccola comunità di seguaci e dove ripetutamente farà poi sosta nei suoi viaggi.

    Confronto con il catarismo

    Ben viva era all'epoca la vicenda dei catari, eretici che predicavano un dualismo Bene/Male portato alle estreme conseguenze.
    Essi avevano avuto numerosi focolai nella vicina Toscana e si erano ridotti alla clandestinità dopo la sanguinosa crociata albigese del 1209.
    Francesco avrebbe potuto essere scambiato per un cataro per la sua povertà e la predicazione ai ceti subalterni.
    Ma Francesco e i suoi seguaci si distinguevano in molteplici aspetti: innanzitutto essi non mettevano in dubbio la gerarchia della Chiesa. Francesco stesso infatti insisteva sulla necessità che si amassero e si rispettassero i sacerdoti.
    Portato una volta davanti a un prete che viveva notoriamente in peccato, forse affinché cadesse in contraddizione (se egli non lo avesse denunziato si sarebbe potuto dire che era suo complice, se egli lo avesse fatto si sarebbe detto che Francesco non rispettava la gerarchia), Francesco si limitò a baciare le mani di quel sacerdote, "che toccano il corpo di Gesù Cristo".
    Inoltre Francesco non si rifiutava di mangiare alcuni cibi rifiutati dai catari (come carni, latte, uova), anzi accettava tutto quello che gli veniva offerto.
    Infine la differenza tra l'avversione al "mondo della Materia" (il creato) dei catari e l'amore per tutte le manifestazioni di vita di Francesco non poteva essere più stridente.
    Lo stesso Cantico delle creature può essere letto come un perfetto trattato di teologia anti-catara. In tal caso il valore da attribuire alla preposizione "per" sarebbe quello di "complemento d'agente" (Laudato sii mi' Signore per (da) tutte le creature).
    Comunque il suo amore per la natura e gli animali (come la leggendaria predica agli uccelli in località Piandarca sulla strada che da Cannara si dirige a Bevagna) erano superati solo dall'amore verso gli esseri umani: la pace interiore per Francesco non era una semplice serenità, ma non poteva prescindere dalla capacità di amore, di perdono e la gioia di vivere.

    .....

    Le stigmate

    Secondo le agiografie, il 17 settembre 1224, due anni prima della morte, mentre si trovava a pregare sul monte della Verna (luogo su cui in futuro sorgerà l'omonimo santuario), Francesco avrebbe visto un Serafino crocifisso.
    Al termine della visione gli sarebbero comparse le stigmate: «sulle mani e sui piedi presenta delle ferite e delle escrescenze carnose, che ricordano dei chiodi e dai quali sanguina spesso».
    Tali agiografie raccontano inoltre che sul fianco destro aveva una ferita, come quella di un colpo di lancia. Fino alla sua morte, comunque, Francesco cercò sempre di tenere nascoste queste sue ferite.
    Nell'iconografia tradizionale successiva alla sua morte, Francesco è stato sempre raffigurato con i segni delle stigmate.
    Per questa caratteristica Francesco è stato definito anche «alter Christus».
    La condivisione fisica delle pene di Cristo offriva un nuovo volto al cristianesimo, partecipe non più solo del trionfo, simboleggiato dal Cristo in gloria.

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    Ultimi anni di vita e la morte

    Negli anni seguenti Francesco fu sempre più segnato da molte malattie (soffriva infatti di disturbi al fegato oltre che alla vista).
    Varie volte gli furono tentati degli interventi medici per lenirgli le sofferenze, ma inutilmente. Nel giugno 1226, mentre si trovava alle Celle di Cortona, dopo una notte molto tormentata dettò il "Testamento", che vorrebbe fosse sempre legato alla "Regola", in cui esortava l'ordine a non allontanarsi dallo spirito originario.
    Nel 1226 si trovava a Bogogno, presso Nocera Umbra, egli però chiese ed ottenne di poter tornare a morire nel suo "luogo santo" preferito: la Porziuncola. Qui la morte lo colse la sera del 3 ottobre.
    Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi ed essere stato portato perfino in San Damiano, per essere mostrato un'ultima volta a Chiara ed alle sue consorelle, venne sepolto nella chiesa di San Giorgio.
    Da qui la sua salma venne trasferita nell'attuale basilica nel 1230 (quattro anni dopo la sua morte, due anni dopo la canonizzazione).

    Spiritualità francescana


    Il francescanesimo si inserisce in quel vasto movimento pauperistico del XIII secolo, in uno spirito di riforma volto contro la corruzione dei costumi degli ecclesiastici del tempo, troppo coinvolti negli interessi materiali e politici, nella sanguinosa Lotta per le investiture.
    A questo si deve aggiungere la fioritura del comune: la nascita delle ricche città stato, se da una parte arricchì una parte del popolo, determinò la formazione di quei ricchi ceti mercantili, il cosiddetto popolo grasso, che acquistava potere a scapito della vecchia nobiltà feudale, facendo della vita metropolitana il centro della civiltà, pur lasciandovi dentro larghissime fette del ceto contadino più indigente.
    Disuguaglianza sociale feroce, ma anche crisi dell'assetto sociale medievale che dovette coinvolgere Francesco in prima persona mentre esercitava la professione di mercante.
    "Povertà", "obbedienza" e "castità" sono aspetti fondamentali della vita di Francesco e dei suoi discepoli.
    Dopo un primo periodo passato in solitudine, Francesco iniziò a vivere la propria vocazione insieme a dei compagni che volevano imitare il suo esempio.
    L'umiltà e l'ascetismo al quale si accompagnò l'opera del santo gli valse il nome di Imitator Christi ("Imitatore di Cristo"): da qui inizia l'esperienza della "fraternità", nella quale ciascun membro è dunque un imitator Francisci ("Imitatore di Francesco"), e dunque un imitator Christi.
    Secondo la regola dettata da Francesco, la vita comunitaria deve cercare di conformarsi a questi principi:
    Fraternità: i frati non devono vivere soli, ma devono prendersi cura dei propri fratelli (e in generale di tutti) con amore e dedizione.
    La stessa cura si estende incondizionatamente non solo alle creature umane, ma a tutto il creato in quanto opera di Dio e dunque sacro, vivendo in questo modo la fraternità universale.
    Umiltà: porsi al di sotto di tutto e di tutti, al servizio dell'ultimo per essere davvero al servizio di Dio, liberarsi dai desideri terreni che allontanano l'uomo dal bene e dalla giustizia
    Povertà: rinuncia a possedere qualsiasi bene condividendo tutto ciò che ci è dato con i tutti i fratelli, partendo dai più bisognosi.

    Alla preghiera e alla meditazione, la Regola francescana aggiunge lo "spirito missionario", in conformità ai precetti evangelici, assumendo una condotta completamente diversa rispetto alla norma seguita fino ad allora.
    È chiaro come a San Francesco interessassero soprattutto i ceti sociali più deboli, tendesse con amore fraterno verso quel "prossimo" spesso respinto e disprezzato dalla società, cioè verso il povero, il malato, il perdente, l'ultimo.
    Francesco vuole essere il «minore tra i minori» (umile tra gli umili). Si sostiene che egli applicò ai compagni l'appellativo minores, dato in spregio ai popolani dai ricchi, perché lui stesso voleva incarnare la figura di "uomo del popolo".
    Assisi e Santa Maria degli Angeli furono e sono tuttora il cuore pulsante da cui parte e a cui ritorna l'attività missionaria di questo nuovo Ordine dei minori, come da allora in poi furono chiamati tutti coloro che seguirono (e che seguono) il santo fondatore assisano. In questo modo, lo spirito di condivisione è esempio concreto della comunione dell'anima con Dio, Gesù il Cristo, testimonianza di fede e di amore cristiano.
    A imitazione dei poveri e dei mendicanti, è l'aspetto itinerante dei francescani, secondo il principio di portare il proprio sostegno materiale e spirituale al prossimo andandogli incontro là dove egli si trova: applicando questa regola alla prima persona Francesco visse e scontò un incessante vagare, portandosi fino ai confini dell'Europa, sostentandosi del frutto del lavoro che gli veniva offerto per strada e dove questo non fosse possibile, attraverso l'elemosina.

    La predica agli uccelli


    La predica agli uccelli è uno degli episodi più famosi dei Fioretti di San Francesco.
    Secondo la tradizione, la predica agli uccelli ebbe luogo sull'antica strada che congiungeva il castello di Cannara a quello di Bevagna, nei pressi di Assisi.
    Oggi il punto dove San Francesco d'Assisi fece il miracolo è segnalato da una pietra sita in località Piandarca nel Comune di Cannara in un'area ancora oggi incontaminata, raggiungibile attraverso un sentiero che inizia appena fuori il paese e si snoda attraverso i campi. Nei pressi della pietra e lungo l'attuale strada che porta a Bevagna (la SP403) è edificata anche una piccola edicola a ricordo del miracolo. Più che la cronaca di un avvenimento, le agiografie descrivono un passo di vera poesia:
    «...et venne fra Cannaia et Bevagni.
    E passando oltre con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti arbori allato alla via, in su' quali era quasi infinita moltitudine d'uccelli. E entrò nel campo e cominciò a predicare alli uccelli ch'erano in terra; e subitamente quelli ch'erano in su gli arbori se ne vennono a lui insieme tutti quanti e stettono fermi, mentre che santo Francesco compié di predicare (...)
    Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece loro il segno della croce e diè loro licenza di partirsi; e allora tutti quelli uccelli si levarono in aria con maravigliosi canti, e poi secondo la croce c'aveva fatta loro santo Francesco si divisoro in quattro parti (...) e ciascuna schiera n'andava cantando maravigliosi canti»

    (da I fioretti cap. XVI di San Francesco d'Assisi secondo la versione in Umbro volgare del XIV secolo conservati negli Archivi del Sacro convento di Assisi)

    francesco


    Il lupo di Gubbio

    La tradizione francescana ci ha tramandato la vicenda di un feroce lupo che terrorizzava la città di Gubbio.
    L'intervento di Francesco consentì di concludere una sorta di patto di pace fra il lupo e la città: l'animale depose la sua ferocia, mentre i cittadini si impegnarono a nutrirlo ogni giorno.
    Secondo la narrazione, il paese si legò così tanto all'animale che, quando questo morì, i cittadini se ne rattristarono profondamente.

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    Fonte: http://it.wikipedia.org

    TAU

    Il TAU è l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico.
    Esso venne adoperato con valore simbolico sin dall'Antico Testamento, per indicare la salvezza e l'amore di Dio per gli uomini. Se ne parla nel Libro del Profeta Ezechiele, quando Dio manda il suo angelo ad imprimere sulla fronte dei servi di Dio questo seguo di salvezza: "Il Signore disse: passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un TAU sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono". Il TAU è perciò segno di redenzione.
    E' segno esteriore di quella novità di vita cristiana, interiormente segnata dal sigillo dello Spirito Santo, dato a noi in dono il giorno del Battesimo. Il TAU fu adottato prestissimo dai cristiani.

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    Tale segno lo troviamo già nelle Catacombe di Roma, perché la sua forma ricordava ad essi la Croce, sulla quale Cristo s'immolò per la salvezza del Mondo.
    S. Francesco d'Assisi, proprio per la somiglianza che il Tau ha con la Croce, ebbe carissimo questo segno, tanto che esso occupò un posto rilevante nella sua vita e nei suoi gesti. In lui il vecchio segno profetico si attualizza, si ricolora, riacquista la sua forza di salvezza, perché San Francesco si sente "un salvato dall'amore e dalla misericordia di Dio".
    Era una amore che scaturiva da una appassionata venerazione per la croce, per l'umiltà di Cristo e per la missione del Cristo che attraverso la croce ha dato a tutti gli uomini il segno e l'espressione più grande del suo amore.
    Il TAU era inoltre per il Santo il segno concreto della sua salvezza e la vittoria di Cristo sul male.
    Il TAU ha alle sue spalle una solida tradizione biblico cristiana.
    Fu accolto da San Francesco nel suo valore spirituale e il Santo se ne impossessò in maniera così intensa e totale sino a diventare a lui stesso, attraverso le Stimmate della carne, quel TAU vivente che egli aveva così spesso contemplato, disegnato ma soprattutto amato.
    Il TAU, segno concreto di una devozione cristiana, è soprattutto impegno di vita nella sequela di Cristo.
    Il Tau perciò deve ricordarci una grande verità cristiana: la nostra vita, salvata e redenta dall'amore di Cristo crocefisso, deve diventare, ogni giorno di più, vita nuova, vita donata per amore. Portando questo segno viviamone la spiritualità, rendiamo ragione della "speranza che é in noi", riconosciamoci seguaci di San Francesco.
    Fonte: www.san-francesco.it

    Cantico di Frate Sole


    Altissimo, onnipotente,
    bon Signore, tue so le laude,
    la gloria e l'onore
    e omne benedizione,
    A te solo, Altissimo, se confano
    nullo omo è digno te mentovare
    Laudato sie, mi Signore,
    cun tutte le tue creature,
    spezialmente messer
    lo frate Sole,
    lo quale è iorno,
    e allumini noi per lui
    Ed ello è bello e radiante
    cun grande splendore:
    de te, Altissimo, porta significazione.
    Laudato si, mi Signore,
    per sora Luna, le Stelle:
    in cielo l'hai formate clarite e preziose e belle
    Laudato si, mi Signore,
    per frate Vento, e per Aere e Nubilo
    e Sereno e onne tempo,
    per lo quale a le tue creature
    dal sustentamento
    Laudato si, mi Signore,
    per sor Aqua la quale è molto utile
    e umile e preziosa e casta
    Laudato si, mi Signore,
    per frate Foco, per lo quale
    enn'allumini la nocte:
    ed ello è bello e iocondo
    e robustoso e forte.
    Laudato si, mi Signore,
    per sora nostra madre Terra,
    la quale ne sostenta e governa,
    e produce diversi fructi
    con coloriti flori ed erba Laudato si, mi Signore,
    per quelli che perdonano
    per lo tuo amoree sostengo
    infirmitate e tribulazione.
    Beati quelli che 'l sosterranno
    in pace, ca da te, Altissimo,
    sirano incoronati.
    Laudato si, mi Signore,
    per sora nostra Morte corporale,
    la quale nullo omo vivente
    po' scampare
    Guai a quelli che morranno
    ne le peccata mortali!
    Beati quelli che troverà
    ne le tue sanctissime voluntati,
    ca la morte seconda no li farrà male
    Laudate e benedicite mi Signore,
    e rengraziate e serviteli
    cun grande umiltate.



    Questa è una delle preghiere che sento di più...

    Preghiera semplice


    O Signore,
    fa' di me
    uno strumento
    della tua pace
    Dov'è odio
    ch'io porti l'amore;
    Dov'è offesa
    ch'io porti il perdono
    Dov'è discordia
    ch'io porti l'unione;
    Dov'è dubbio
    ch'io porti la fede,
    Dov'è errore
    ch'io porti la verità;
    Dov'è disperazione
    ch'io porti la speranza Dov'è tristezza
    ch'io porti la gioia;
    Dov'è tenebra
    ch'io porti la luce
    Oh! Maestro, fa' che
    io non cerchi tanto:
    Ad essere consolato,
    quanto a consolare
    Ad essere compreso,
    quanto a comprendere
    Ad essere amato,
    quanto ad amare
    Poiché é dando
    che si riceve
    Perdonando
    che si é perdonati,
    Morendo, che si
    risuscita a Vita Eterna.



    Canzone - Dolce Sentire



     
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  3. †Faith†
     
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    Sant'Antonio di Padova

    Sant'Antonio di Padova, in portoghese Santo António de Lisboa, al secolo Fernando Martins de Bulhões (Lisbona, 15 agosto 1195 – Padova, 13 giugno 1231), fu un religioso portoghese canonizzato dalla Chiesa cattolica e proclamato nel 1946 dottore della Chiesa.
    Da principio monaco agostiniano a Coimbra dal 1210, poi dal 1220 frate francescano. Viaggiò molto, vivendo prima in Portogallo quindi in Italia ed in Francia.
    Nel 1221 si recò al Capitolo Generale ad Assisi, dove vide e ascoltò di persona san Francesco d'Assisi.
    Dotato di grande umiltà ma anche di grande sapienza e cultura, per le sue valenti doti di predicatore, mostrate per la prima volta a Forlì nel 1222, fu incaricato dell'insegnamento della teologia e inviato per questo dallo stesso san Francesco a contrastare la diffusione dell'eresia catara in Francia.
    Fu poi trasferito a Bologna e quindi a Padova. Morì all'età di 36 anni. È notoriamente e popolarmente considerato un grande santo, anche perché di lui si narrano grandi prodigi miracolosi, sin dai primissimi tempi dalla sua morte e fino ai nostri giorni.
    Tali eventi prodigiosi furono di tale intensità e natura che facilitarono la sua rapida canonizzazione, inferiore ad un anno (è il Santo canonizzato più rapidamente nella storia della Chiesa) e la diffusione mondiale della sua devozione, che lo rendono il santo più venerato al mondo.

    Il contesto storico

    Gli anni in cui visse Antonio di Padova si collocano intorno alla fine del Medioevo. Tutta l'Europa era scossa da profondi cambiamenti: la nascita della società urbana e dei Comuni; l'aumento della produzione agricola e la conseguente maggior mobilità delle persone con la ripresa di ampi commerci.
    Artigiani e commercianti, notai e medici, mercanti e banchieri iniziavano a dar vita ad una nuova classe sociale: la borghesia, che andava ad aggiungersi ai cavalieri, al clero e ai nobili.
    In questo quadro di grandi cambiamenti, la Chiesa visse mutamenti significativi:
    - Il fiorire delle cattedrali, monumento tipico della città che rinasceva: dopo l'XI secolo, la cattedrale divenne (così come lo erano stati i monasteri nei secoli precedenti) il centro della vita religiosa.
    - L'epoca delle crociate, in tutto otto: la prima nel 1096, l'ultima nel 1270.
    - L'epoca dei papi Innocenzo III e suo nipote Gregorio IX, difensori del potere papale e soprattutto papi che si inserirono nella grande riforma spirituale dei secoli XI-XII; entrambi avvertirono l'esigenza di rinnovare anche le istituzioni ecclesiastiche.
    Questo impeto di rinnovamento spirituale si espresse nella nascita di alcuni ordini religiosi sia contemplativi cistercensi sia più inseriti nella realtà sociale, come i cosiddetti Ordini mendicanti: francescani e domenicani.

    I primi anni

    Dell'infanzia di Antonio di Padova si conoscono poche cose con certezza: il nome di battesimo Fernando, la città natale Lisbona e l'origine benestante e aristocratica.
    Già sulla data di nascita gli storici disputano, anche se la maggior parte concorda per il 15 agosto 1195; l'anno di nascita è calcolato sottraendo dalla data della morte, 13 giugno 1231, gli anni citati dal Liber miraculorum, scritto verso la metà del XIV secolo.
    Antonio di Padova nacque dunque a Lisbona, primogenito in una nobile famiglia. Sua madre si chiamava Maria Tarasia Taveira e suo padre Martino Alfonso de' Buglioni, cavaliere del re e, secondo alcuni, discendente di Goffredo di Buglione.
    La residenza della nobile famiglia era nei pressi della cattedrale di Lisbona, dove egli fu infatti battezzato.
    Presso questo luogo egli ebbe la prima educazione spirituale dai canonici della cattedrale. Si ritiene, ma è incerto, che il padre lo abbia indirizzato al mestiere delle armi.
    Nel 1210, all'età di quindici anni, egli decise di entrare a far parte dei Canonici Regolari Agostiniani dell'Abbazia di San Vincenzo di Lisbona.
    Rimase nell'abbazia di San Vincenzo per circa due anni. Poi, preferendo un maggior raccoglimento, ostacolato dalle frequenti visite di amici e parenti, chiese ed ottenne il trasferimento presso il convento di Santa Croce a Coimbra, città allora capitale del Portogallo e distante circa 230 km da Lisbona. Non vi è notizia che riporta un suo pur breve passaggio o successivo ritorno nei luoghi nativi.
    Fernando giunse a Coimbra nel 1212, all'età di circa 17 anni. Il convento era molto grande ed aveva una settantina di monaci.
    Qui probabilmente fu ordinato sacerdote ed essendo versato nelle Sacre Scritture e nella predicazione, gli si prospettò una carriera all'interno dell'Ordine; ma due avvenimenti contribuirono a scrivere una storia diversa.

    I difficili inizi

    Al re Alfonso I succedette, sul trono del Portogallo, il figlio Sancho I ed alla morte di questi (1211) il nipote Alfonso II.
    Alfonso II è descritto come un re devoto e rispettoso delle prerogative dei religiosi; i suoi successori, tuttavia, si dimostrarono insofferenti nei confronti delle autonomie del clero.
    Alfonso II nominò come priore del convento agostiniano di Santa Croce in Lisbona una persona che fosse a lui legata e fidata, anche a scapito della sua modesta vita ascetica e spirituale e della sua scarsa attitudine a gestire il monastero.
    Costui dilapidò le ingenti risorse del convento in breve tempo, con uno stile di vita molto mondano e poco consono ad un convento.
    I frati si divisero in suoi sostenitori e contrari mentre le sue gesta si diffusero ampiamente giungendo fino a Roma dove il papa Onorio III promulgò nel 1220 una scomunica.
    Il priore forte dell'appoggio reale e per la distanza dalla Santa Sede, se ne poté disinteressare completamente.
    Fernando rimase nel convento per circa otto anni ed essendo questo dotato di una grande biblioteca, si impegnò nello studio teologico in modo assiduo, gettando le solide basi della sua vasta e notoria cultura.

    Il primo incontro con il francescanesimo

    Nel 1219 Francesco d'Assisi approntò una spedizione missionaria alla volta del Marocco, con l'intento di convertire i musulmani dell'Africa.
    I membri della spedizione erano Berardo, Ottone, Pietro, Accursio e Adiuto, i primi tre sacerdoti e gli altri due fratelli laici; essi forse transitarono anche a Coimbra e forse fecero una forte impressione su Fernando.
    Giunti in Africa, i cinque furono uccisi per decapitazione, poco dopo l'inizio della loro missione di evangelizzazione.
    I loro corpi furono riportati a Coimbra pochi mesi dopo. Antonio riferì in seguito che il martirio di questi fratelli francescani, costituì per lui la spinta decisiva all'ingresso nell'ordine del santo d'Assisi, nel settembre 1220.
    Quindi la missione e la totale disponibilità fino alla morte, furono probabilmente le spinte interiori che lo portarono al francescanesimo. Egli volendo sottolineare maggiormente questo netto mutamento di vita, decise di cambiare il suo nome di battesimo: da Fernando in Antonio, in onore del monaco orientale a cui era dedicato il romitorio di Olivais di Coimbra dove vivevano i primi francescani portoghesi, e che Fernando aveva da poco tempo conosciuto.

    Non appena ebbe superato le opposizioni dei confratelli agostiniani, ed aver ottenuto comunque il permesso dal priore, si unì al romitorio dei francescani e di lì a poco chiese a Giovanni Parenti suo nuovo superiore, il permesso di partire come missionario. Nell'autunno del 1220 s'imbarcò con un confratello, Filippino di Castiglia, alla volta del Marocco.
    Tuttavia, giunto in Africa, contrasse una non meglio specificata malattia tropicale e dopo alcuni mesi perdurando il male venne convinto da Filippino a tornare a Coimbra.
    I due frati si imbarcarono diretti verso la Spagna, ma la nave si imbatté in una tempesta e fu spinta naufragando sulle coste della Sicilia, dove approdò nei pressi della città di Messina. Soccorsi dai pescatori, i due vennero portati nel vicino convento francescano della città siciliana.
    Qui i due frati furono informati che a maggio, in occasione della Pentecoste, Francesco d'Assisi aveva radunato tutti i suoi frati per il Capitolo Generale. L'invito a parteciparvi era esteso a tutti e nella primavera del 1221 Antonio e i frati di Messina cominciarono a risalire l'Italia a piedi.

    L'incontro con Francesco di Assisi

    Il viaggio durò parecchie settimane. Per Antonio il Capitolo Generale si rivelò un'occasione fondamentale per incontrare direttamente Francesco d'Assisi, poiché aveva conosciuto il suo insegnamento solo attraverso le testimonianze indirette.
    Il capitolo, presieduto dal cardinale cistercense Rainiero Capocci, ebbe luogo nella valle attorno alla Porziuncola dove si raccolsero più di tremila frati; si costruirono delle capanne di stuoie e per tale motivo fu ricordato come il Capitolo delle Stuoie.
    Il frate Giordano da Giano descrisse l'avvenimento:
    « Un Capitolo così, sia per la moltitudine dei religiosi come per la solennità delle cerimonie, io non vidi mai più nel nostro Ordine.
    E benché tanto fosse il numero dei frati, tuttavia con tale abbondanza la popolazione vi provvedeva, che dopo sette giorni i frati furono costretti a chiudere la porta e a non accettare più niente; anzi restarono altri due giorni per consumare le vivande già offerte e accettate. »


    Il Capitolo durò per tutta l'Ottava di Pentecoste dal 30 maggio all'8 giugno 1221 e si analizzarono molti problemi: lo stato dell'Ordine, la richiesta di novanta missionari per la Germania, la discussione sulla nuova Regola.
    Le richieste di modifica della Regola primitiva furono per Francesco un considerevole problema. Lassisti e Spiritualisti rischiavano di spaccare l'Ordine in due tronconi.
    L'Ordine s'era troppo ingrandito e ai giovani accorsi con entusiasmo mancava un'uguale adesione alla disciplina, mentre ai dotti risultavano strette le disposizioni sulla povertà assoluta.
    Con la mediazione del cardinale Capocci si giunse ad un compromesso che cercava di salvaguardare ad un tempo l'autorità morale di Francesco e l'integrità dell'Ordine.
    La nuova Regola verrà poi approvata da Papa Onorio III il 29 novembre 1223. L'Assidua riporta che:
    « Concluso il Capitolo nel modo consueto, quando i ministri provinciali ebbero inviato i fratelli loro affidati alla propria destinazione, solo Antonio restò abbandonato nelle mani del ministro generale, non essendo stato chiesto da nessun provinciale in quanto, essendo sconosciuto, pareva un novellino buono a nulla. Finalmente, chiamato in disparte frate Graziano, che allora governava i frati della Romagna, Antonio prese a supplicarlo che, chiedendolo al ministro generale, lo conducesse con sé in Romagna e là l'impartisse i primi rudimenti della formazione spirituale. Nessun accenno fece ai suoi studi, nessun vanto per il ministero ecclesiastico esercitato, ma nascondendo la sua cultura e intelligenza per amor di Cristo, dichiarava di non voler conoscere, amare e abbracciare altri che Gesù crocifisso. »
    Quando quasi tutti erano partiti per tornare ai loro luoghi di provenienza, Antonio fu notato da frate Graziano, che apprezzando soprattutto l'umiltà e la profonda spiritualità di Antonio, decise di prenderlo con sé e lo assegnò all'eremo di Montepaolo, vicino all'odierna Castrocaro, dove già vivevano sei frati.
    Qui arrivò nel giugno 1221 con gli altri confratelli e vi rimase un anno dedicandosi ad una vita semplice, a lavori umili, alla preghiera e alla penitenza.
    Nella seconda metà del 1222 la comunità francescana scese a valle per assistere alle ordinazioni sacerdotali nella cattedrale di Forlì. L'Assidua racconta che:
    « venuta l'ora della conferenza spirituale il Vescovo ebbe bisogno di un buon predicatore che rivolgesse un discorso di esortazione e di augurio ai nuovi sacerdoti.
    Tutti i presenti però si schermirono dicendo che non era loro possibile né lecito improvvisare.
    Il superiore si spazientì e rivoltosi ad Antonio gli impose di mettere da parte ogni timidezza o modestia e di annunciare ai convenuti quanto gli venisse suggerito dallo Spirito. Questi dovette obbedire suo malgrado e "La sua lingua, mossa dallo Spirito Santo, prese a ragionare di molti argomenti con ponderatezza, in maniera chiara e concisa »

    Della predica di Antonio giunse notizia ai superiori ad Assisi, che lo richiamarono alla predicazione.

    L'arrivo a Padova

    Le fonti sono incerte sul periodo del viaggio di ritorno di Antonio in Italia dalla Francia; un'antica tradizione riporta che imbarcatosi per mare naufragò nuovamente in Sicilia, dove sono conservate numerose reliquie a lui attribuite.
    Raggiunse comunque Assisi il 30 maggio 1227, festa di Pentecoste e giorno d'apertura del Capitolo Generale, nel quale si doveva eleggere il successore di Francesco.
    Molti prevedevano l'elezione di frate Elia, vicario generale di Francesco e suo compagno di missione in Oriente. Le cronache riportano che frate Elia fosse geniale organizzatore ma di temperamento piuttosto focoso.
    I superiori dell'Ordine gli preferirono il più prudente frate Giovanni Parenti, ex magistrato, nativo di Civita Castellana e Provinciale della Spagna. Questi, che aveva accolto Antonio nell'Ordine francescano alcuni anni prima, lo nominò ministro provinciale per l'Italia settentrionale; in pratica, la seconda carica per importanza dopo la sua. Antonio aveva 32 anni.
    I successivi quattro, gli ultimi della sua vita, saranno i più importanti per la sua eredità spirituale.
    Nonostante l'incarico comportasse per Antonio la visita degli ormai numerosi conventi dell'Italia settentrionale; Milano, Venezia, Vicenza, Verona, Ferrara (dove avvenne il miracolo dell'infante che proclama l'innocenza della madre); ma anche Trento, Brescia, Cremona e Varese. Fra tutte queste città Antonio scelse però il convento di Padova come sua residenza fissa quando non era in viaggio.
    La città aveva circa quindicimila abitanti ed era un grande centro di commerci e industrie. Qui Antonio cercò di portare a termine senza riuscirci la sua più importante opera scritta "I Sermoni", un'opera dottrinaria di profonda teologia, che lo farà proclamare Dottore della Chiesa.
    La predicazione però non gli lasciò il tempo di finire quest'opera. Una folla notevole lo seguiva nelle sue prediche tanto che si riempivano le chiese e le piazze, e tanto che a Padova Antonio era divenuto estremamente famoso e ricercato.
    Tra predicazioni instancabili e lunghe ore dedicate al confessionale spesso Antonio compiva lunghi digiuni.

    La morte

    La Quaresima e la predicazione avevano fiaccato Antonio, che in diverse occasioni aveva dovuto farsi portare a braccia sul pulpito.
    Afflitto dall'idropisia e dall'asma forse sintomi di cardiopatia, trovava a volte difficile anche il solo camminare. Acconsentì a ritirarsi per una convalescenza nel convento di Santa Maria Mater Domini.
    Questo suo breve riposo, tuttavia, si interruppe bruscamente. Spadroneggiava in quel tempo, tra Verona e Vicenza, Ezzelino III da Romano, emissario dell'imperatore Federico II contro i liberi Comuni. Riuscito a farsi eleggere Podestà di Verona, città guidata dai conti di Sambonifacio, aveva intrecciato con loro un doppio matrimonio: lui con Zilia, sorella del conte Rizzardo, e questi con sua sorella Cunizza.
    Una volta ottenuto il potere, passò sopra i legami di parentela e ruppe l'alleanza con i Sambonifacio, mandando in carcere il cognato. Alcuni cavalieri del conte Rizzardo ripararono a Padova e da lì cercarono di organizzarne la liberazione.
    Verso la fine di maggio Antonio partì alla volta di Verona, per chiedere ad Ezzelino di concedere la grazia al conte Rizzardo; ma non riuscì ad ottenere nulla.
    Ezzelino fu veramente irremovibile, ed anzi risparmiò ad Antonio la stessa sorte del conte Rizzardo soltanto per rispetto dell'abito che portava.

    Nel giugno 1231, pochi giorni prima della sua morte, Antonio soggiornò a Camposampiero, invitato dal conte Tiso per un periodo di meditazione e riposo nel piccolo romitorio nei pressi del castello. La tradizione narra che qui si ebbe la famosa predica del Noce e sempre qui si ebbe la visione di Antonio con in braccio il Bambino Gesù, nella celletta dove si ritirava per la preghiera ed il riposo.
    Il 13 giugno 1231 si sentì mancare e avendo compreso che non gli restava molto da vivere, chiese di essere riportato a Padova dove desiderava morire.
    Fu trasportato verso Padova su un carro agricolo trainato da buoi (i venti chilometri della strada romana oggi sono chiamati via "del Santo"). In vista delle mura la comitiva incontrò frate Vinotto che, viste le sue gravi condizioni, consigliò di fermarsi all'Arcella, nell'ospizio accanto al monastero delle Clarisse dove sarebbe stato al sicuro dalle "sante intemperanze" della folla quando si fosse sparsa la notizia della morte. I confratelli temevano che la folla si precipitasse sul carro per toccare il corpo del Santo.

    Al convento di Arcella i confratelli adagiarono Antonio per terra. Ricevuta l'estrema unzione, ascoltò i confratelli cantare l'inno mariano da lui prediletto,"O gloriosa Domina"; quindi, pronunciate, secondo quanto riferito dall'Assidua, le parole Video Dominum meum (Vedo il mio Signore), morì. Aveva 36 anni.

    La disputa per la sepoltura

    La notizia della morte di Antonio si diffuse rapidamente e quel che temeva padre Vinotto s'avverò.
    Le reliquie di un Santo erano viste come portatrici, oltre che di vantaggi spirituali e miracoli, di prosperità sicura in tempi di pellegrinaggi e di fede diffusa. Gli abitanti di Capodiponte, nella cui giurisdizione si trovava Arcella, arrivarono per primi:
    «Qui è morto e qui resta»; spalleggiati dalle clarisse: «Non lo abbiamo potuto vedere da vivo, che ci resti almeno da morto». L'indomani giunsero all'Arcella i frati di Santa Maria Mater Domini per traslare la salma, ma furono affrontati, armi in pugno, dagli uomini più giovani di Capodiponte.
    Ogni forma di dialogo pacato risultò inutile, sicché i frati rientrarono a Padova dove si rivolsero al Vescovo. Questi, saputo che Antonio aveva espresso precisa volontà di morire in città, nel suo convento, diede loro ragione e incaricò il Podestà di sedare gli animi, anche con la forza, se necessario.
    L'uso della forza non si rese necessario e il 17 giugno, all'Arcella, si svolse la cerimonia funebre. La sera dello stesso giorno, la salma del Santo fu trasportata al convento di Santa Maria Mater Domini a Padova.

    La canonizzazione

    La Chiesa nella persona del papa Gregorio IX, in considerazione della mole di miracoli attribuitagli, lo canonizzò dopo solo un anno dalla morte. Pio XII, che nel 1946 ha innalzato sant'Antonio tra i Dottori della Chiesa cattolica, gli ha conferito il titolo di Doctor Evangelicus, in quanto nei suoi scritti e nelle prediche che ci sono giunte era solito sostenere le sue affermazioni con citazioni del Vangelo.
    Gli fu dedicata la grande Basilica di Padova; sia la basilica che Sant'Antonio vengono comunemente chiamati in città "il Santo".
    La sua data di nascita ci è stata tramandata dalla tradizione, e la sua festa cade il 13 giugno, giorno della sua morte e della sua nascita in cielo; a Padova, in occasione della ricorrenza, si svolge un'imponente celebrazione con una grande e sentita processione.
    Sant'Antonio col Bambin Gesù in un'immaginetta devozionale

    Fin dal giorno dei funerali la tomba di Antonio divenne meta di pellegrinaggi che durarono per giorni. Devoti di ogni condizione sociale sfilavano davanti alla sua tomba toccando il sarcofago e chiedendo miracoli, grazie e guarigioni.
    A causa della folla le autorità decisero di disciplinare il flusso e tutta Padova – si legge nell'Assidua –«nei giorni prefissati veniva in processione a piedi nudi», anche di notte.
    In quel periodo furono attribuiti alla sua intercessione molti miracoli e, «a furor di popolo», il vescovo e il podestà li sottoposero al giudizio del Papa.
    Papa Gregorio IX, che conosceva Antonio, avendo assistito alle sue prediche, accolse gli ambasciatori padovani e nominò una commissione di periti, presieduta dal vescovo di Padova, per raccogliere le testimonianze e le prove documentarie utili al processo di canonizzazione.

    Secondo l'Assidua la commissione fu sommersa a Padova «da una gran folla, accorsa per deporre con le prove della verità, di essere stata liberata da svariate sciagure grazie ai meriti gloriosi del beato Antonio».
    Il Vescovo ascoltò «le deposizioni confermate con giuramento», mise per iscritto i «miracoli» approvati e promosse le indagini necessarie. Completato l'esame diocesano, inviò al Papa una seconda delegazione. A Roma l'istruttoria fu assegnata al cardinale Giovanni d'Abbeville, che in pochi mesi esaurì il compito assegnatogli.
    Fu Gregorio IX stesso che pose fine al processo quando tagliò ogni ritrosia rimasta fissando al 30 maggio, festa di Pentecoste, la cerimonia ufficiale di canonizzazione e che inviò per questo una Bolla ai fedeli e al podestà di Padova.
    Nella Cattedrale di Spoleto, Gregorio IX ascoltò la lettura dei cinquantatré miracoli approvati e, dopo il canto del Te Deum, proclamò solennemente e ufficialmente santo frate Antonio, fissandone la festa liturgica nel giorno anniversario della sua nascita in cielo, il 13 giugno. I fedeli poterono festeggiare Antonio come santo esattamente un anno dopo la sua morte.

    Per l'afflusso di pellegrini che affluiva a Padova sulla tomba, si iniziò la costruzione di una chiesa più capiente che fu terminata nel 1240. Nel 1263 il Ministro Generale dei francescani, Bonaventura da Bagnoregio, fece traslare la salma di Antonio di Padova nella nuova basilica.
    Si narra che durante l'ispezione prima del trasporto dei resti mortali, sarebbe stata rinvenuta la lingua intatta e rosea come fosse viva. Ogni anno, ancora oggi, i frati Antoniani in Padova ricordano quel ritrovamento.
    Ancora oggi sono milioni le persone che annualmente visitano la sua tomba nella Basilica di Padova, e la maggior parte di queste persone porta nell'animo una profonda venerazione per questo grande frate francescano.

    La denominazione

    Sebbene "il Santo" venga comunemente chiamato "Sant'Antonio da Padova", questa denominazione non indica la sua originaria provenienza poiché egli era nato e cresciuto nel Portogallo. Il suo nome viene affiancato alla città di Padova perché qui ha avuto luogo la sua attività più significativa.
    Tra l'altro è usanza che i frati prendano il nome di provenienza dal convento a cui appartengono, quindi in questo senso è corretto riferirsi a Sant'Antonio di Padova (nel senso di appartenenza) ma non da Padova.
    Soltanto in Portogallo egli è chiamato comunemente Santo António de Lisboa, ovvero "Sant'Antonio da Lisbona", sua città natale.

    Fonte: http://it.wikipedia.org
     
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2 replies since 10/5/2012, 20:23   127 views
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